Skip to main content

Comincio con una provocazione.

Perché chi improvvisa al pianoforte non si preoccupa mai di diteggiare?

Mi rendo perfettamente conto che la diteggiatura può apparire come un sicuro ancoraggio e molti principianti o dilettanti preferiscono non mettere le dita sulla tastiera se non hanno un numeretto sopra. Tuttavia il rischio è che dovrete per forza fidarvi di chi i numeretti li ha messi al posto vostro…

Meno male che leggendo le pagine di questo sito siete pianisti fortunati che sanno… quante sono le dita di un pianista:

10 x 3 = 30,
perché ogni dito può contare sul centro del polpastrello e i due lati esterni.

Vi bastano per non farvi avere mai più problemi con la diteggiatura?

10 x 10 = 100,
perché sono canalizzati di volta in volta 5 movimenti diversi, in + e in – .

Vi bastano per essere sicuri che potrete suonare qualsiasi cosa?

Uno soltanto di questi 10 movimenti vi appartiene, in modo unico e irripetibile, pertanto le vostre 10 dita sapranno fare cose straordinarie che nessun altro potrà imitare e che nessuna scuola potrà mai insegnarvi.

Vi basta per invitarvi a suonare con soddisfazione?

Chopin diceva che la mano del pianista ha sei dita: 1,2,3 e 3,4,5.

Perché allora vi preoccupate ancora di come si diteggia lo studio op. 10 n. 2?

I giovani pianisti di oggi sono sfuggiti alla furia dei revisori e quindi viaggiano più tranquilli con le edizioni Urtext e l’esperienza che farete con gli esercizi proposti vi metterà facilmente nelle condizioni di poter maturare una sempre maggiore flessibilità nei confronti della diteggiatura.

Evitare le diteggiature “compensative” per cominciare, quelle cioè che – non comprendendo bene il reale funzionamento della mano – compensano con lunghi giri tortuosi e perdipiù spesso spacciandolo per dogma.

Guardiamo insieme questa diteggiatura proposta da Adolf Henselt.

Henselt era un ottimo pianista ma anche un uomo ossessionato dai problemi della tecnica. Notate come eviti accuratamente il quarto dito (diteggiatura sopra) nell’illusione di creare una diteggiatura più comoda. Ma che suono potrà mai venir fuori da una diteggiatura simile, che non offre all’anulare la libertà di ordinare il movimento della mano? Non di certo Beethoveniano!
Ricordate l’esercizio di Beethoven?

Provatelo e rimarrete sbalorditi dal vedere come le note si “diteggiano”… da sole!

Lo provo io per voi. Oriento la mano intorno all’anulare, pronto a realizzare il crescendo, e rispettando l’organizzazione ritmica, che crea clusters a gruppi di quattro, la diteggiatura che mi viene – praticamente in automatico – è quella che trovate segnata sotto nell’esempio.

La differenza fondamentale tra una diteggiatura studiata e automatizzata e una dove coscientemente trovate le dita giuste la vivrete nell’atto di memorizzare un pezzo. La prima genererà un automatismo difficile da modificare e a rischio di errori in performance, la seconda, qualcosa di vivo che sempre potrete modificare a vostro piacimento.

Le Osei si attivano una alla volta e a seconda degli stimoli esterni e interni.

Vi faccio un esempio. Quando siete in fase di lettura di un nuovo pezzo inevitabilmente è incanalata la osei verticale, le mani funzioneranno – che ne siate coscienti o no – in un modo ben preciso: la linea del medio fa da asse che definisce la verticalità e regola il lavoro che parte da 1 e 5. Ma… se state leggendo Schubert, autore laterale, il cui dito guida è l’indice, diventa controproducente focalizzarsi troppo sulla diteggiatura. Allo stesso modo la diteggiatura di Chopin è quella delle mani in movimento. L’atteggiamento migliore da assumere è quello dell’attore che – alle prese con un nuovo testo – recita senza intenzioni.

Sono però le condizioni ideali che invece esige la musica per tastiera di Bach: diteggiare Bach significa non disturbarle mai.

La cosa incredibile è che sono le stesse condizioni che richiede Rachmaninov.

 

Durante un seminario di seitai, chiacchieravo nella pausa con una corsista diplomata in pianoforte. A un certo punto mi disse: “Ma lo sa che su internet ho letto di un pazzo che dice che Rachmaninov si suona come Bach?”. Sorrisi e le risposi: “Sì, quel pazzo sono io.”

Quindi l’incipit di questo fantastico Etude-tableaux esige (se volete rispettare la natura dell’autore) che la linea del medio sia sempre statica, per non perdere il suo ruolo di asse: in questo momento sto scrivendo al computer, le mie dita tamburellano questo

Vado al pianoforte, il risultato è convincente. C’è tutta l’aspettativa, però senza chiasso.

Se vi divertite a prendere a campione qualsiasi brano di Rachmaninov, rimarrete sbalorditi: troverete sempre le stesse coordinate: il 3 neutrale e 1 e 5 che guidano.

Diteggiare significa dare spazio e risalto alle dita che guidano il movimento che in quel momento è “attivato”.

E’ il caso della Toccata dalla Sonata Sesta di Paradisi che presenta un dinamismo interno inusuale per l’epoca e che può benissimo essere considerata come antesignana alla studio op. 10 n. 1 di Chopin e come tale il bordo esterno dell’indice, quello che da verso il pollice, non deve essere disturbato.

 

Non è il caso della diteggiatura che trovate segnata sopra nell’esempio che potremmo dire più “clavicembalistica”, non avendo – questo magnifico strumento – né senso tridimensionale né senso dinamico della velocità, caratteristica peculiare invece, del pianoforte. Quindi, se volete lanciare il cavallo al galoppo, la diteggiatura diventa quella segnata sotto.

Il dito 4 soffre ancora oggi di un immane pregiudizio: viene considerato un dito debole, quando in realtà è il dito più forte della mano; se non ci credete provate ad aprire un barattolo un pò duro: il dito che finalmente ve lo farà aprire è proprio l’anulare!

Inoltre è il dito che con maggiore facilità accende il suono. Questo pregiudizio impedisce di trovare soluzioni di diteggiatura, come utilizzare 3 e 4 per ogni trillo di Beethoven!

E non dimenticate il genio didattico degli autori. Come poco fa con Liszt, tutta l’introduzione della sonata op. 35 è fatta per posizionarvi la mano nell’orbita dell’anulare ruotando verso dietro, allo stesso modo con cui un insegnante di arti marziali vi accompagna per farvi vedere una presa…

La diteggiatura è un’arte complessa che potrebbe non prendere in considerazione la funzione multipla di ogni dito.

Il mignolo, per esempio:

  1. rende strutturato e definito un suono con il centro del polpastrello,
  2. luminoso con il proprio lato esterno,
  3. ma denso e cantante con il proprio lato interno

ma si scrive sempre 5!

Ancora una volta ci salva la didattica di Chopin e un preludio come il 4 diventa un ottimo banco di prova per sperimentare la diteggiatura cantante o come questo famoso incipit:

Ricordate sempre che è la diteggiatura ad essere al vostro servizio, non il contrario.

La diteggiatura che trovate all’interno dell’esempio è perfetta e in linea con il “sentire” chopiniano: i due 3 “definiscono” la nota, le altre dita inducono a compattare la mano per trovare quella velocità necessaria per rendere questo famoso incipit che Chopin desiderava fosse “come una domanda”.

Ma… se il pianista volesse renderlo più “sonoro” – alla stregua di un drammatico incipit beethoveniano – avrà la necessità di coinvolgere il dito 4 – l’accendi suono per eccellenza – cambiando completamente la funzione delle altre dita e la diteggiatura diventerà:

se invece non riesce a resistere a offrire dolcezza e cantabilità, dovrà dare spazio alla contiguità tra 2 e 3.


Vuoi saperne di più e padroneggiare l’arte della diteggiatura? E’ finalmente disponibile il Quaderno di Tecnica Pianistica completamente dedicato alla Diteggiatura pianistica. Un’occasione unica per approfondire ed esplorare questo aspetto della didattica.

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e di prossima pubblicazione su Amazon, il rivoluzionario Seitai al pianoforte - suonare con i 5 movimenti. Il Seitai spiegato allo studente di pianoforte, ad uso dei Conservatori e Civiche Scuole di Musica.