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E’ da tempo che desideravo scrivere questo articolo. Nonostante il grande spazio dedicato a Chopin sentivo che c’era ancora qualcosa da definire e questo qualcosa aveva a che fare con la Sonata in si bemolle minore.
Poiché è un pezzo che amo suonare rari sono i pianisti che riescono a soddisfarmi. Nessuna interpretazione (a parte quella di Cziffra e una di Igor Kamenz che sentii dal vivo e purtroppo non ne esiste incisione) riesce a mantenere la coerenza dall’inizio alla fine.Cosa rende particolare questa sonata? Cercherò di raccontarvelo in questo articolo.

 

la Cattedrale dell’Inconscio

L’insufficienza di concetti come inconscio e subcosciente

L’utilizzo di questi due concetti può generare confusione quando si cerca di comprendere la genesi di un conflitto interno. Il loro utilizzo tanto nello studio dell’infermità mentale quanto in quello dei problemi psicologici è stato fatto senza mai chiarire previamente da dove nasce la vita psichica. Questa carenza culturale ha fatto in modo che subcosciente e inconscio vengano considerate entità autonome ai margini dell’organismo.

Utilizzando questi concetti si definisce il conflitto interno come un fenomeno che si produce tra il cosciente (pensiero ordinato) e il non cosciente (o subcosciente o immaginazione).

Per almeno due ragioni questa visione non è corretta.

In primo luogo non riflette la realtà: non esprime la parte cosciente che dà luogo all’immaginazione. Immaginare un pezzo di cioccolato mentre si sta tentando di studiare, immaginare la riduzione dello spazio in uno stato di claustrofobia senza motivi o cause esterne di certo esprimono un fondo del subcosciente; però hanno, allo stesso tempo, la loro parte nitidamente cosciente. Se non si coglie questa realtà, il concetto è insufficiente o incompleto.

In secondo luogo, questa idea può dar luogo a errori di maggior gravità: favorisce il pensiero che l’incosciente o subcosciente siano alieni all’individuo e al suo cosciente: qualcosa di molto profondo, non conosciuto, intoccabile, del quale non possiamo essere responsabili.

(Katsumi Mamine Miwa, la osei en la vida cotidiana)

E’ proprio la consapevolezza di un cosciente spontaneo che ci apre le porte per la comprensione profonda dell’op. 35. Nella realtà non esiste una parte emersa dell’iceberg (conscio) ed una sommersa (inconscio, immaginazione, subcosciente), ma una emersa divisa in due (cosciente vestito e cosciente spontaneo) di cui solo il cosciente spontaneo è in comunicazione con la parte sommersa.

Il conflitto si produce dentro il medesimo cosciente, tra la sua area vestita e non vestita. Per esempio, il cosciente di una persona non desidera soffrire di claustrofobia: se si trova a soffrirne è perché non può controllare la propria immaginazione su come si riduce lo spazio, immaginazione di cui, senza averla provocata, è perfettamente cosciente: il conflitto si manifesta all’interno di due zone del medesimo cosciente. Se fosse vero che il conflitto si produce tra cosciente e non cosciente, non si avrebbe sofferenza alcuna.

Lo stesso discorso vale per la creatività musicale: per Beethoven erano Dio e le muse a “urlargli nelle orecchie” la musica, Mozart invece – del tutto inconsapevole di questo processo – scriveva musica in bella copia senza correzioni, come provenisse da una notte uterina. C’è una separazione tra loro e il mondo creativo/immaginativo. Tale separazione rimane fino ai giorni nostri, con la differenza che molta musica contemporanea è solamente espressione del cosciente vestito senza più correlazione con lo spirito creatore dell’Arte.

Abbiamo quindi con Chopin un fenomeno unico nel suo genere Рuna sorta di anno zero e Рfortunatamente per noi pianisti, il pianoforte ̬ al centro di questo evento:

con la seconda sonata abbiamo l’esperienza diretta del cosciente spontaneo,
senza intermediazione culturale e direttamente connessa con le profondità dell’inconscio.

Ciò che per il suo autore era una dannazione, diventa per l’esecutore una nuova e rivoluzionaria possibilità  – credetemi, non ancora esplorata – di interpretazione, a dispetto di decenni di storia dell’interpretazione e di non so quante edizioni del Concorso pianistico di Varsavia. Una dannazione perché lo costringeva a mesi di sforzi per ricostruire un impulso creativo perfetto: più di una volta i suoi schizzi supereranno di gran lunga in audacia la partitura concretizzata sulla carta.

Per avere un’idea della portata reale di Chopin vi faccio un esempio comparativo con il maggior improvvisatore pianistico dei nostri tempi: Keith Jarrett. La sua musica, una volta trascritta o eseguita in concerto da altri pianisti non riesce ad avere la stessa valenza di quella ascoltata al momento della sua creazione. Sembra un’impresa impossibile, ma Chopin l’ha conosciuta e affrontata e il vero cardine è l’op. 35. Si supererà solo con la Polacca Fantasia, ma dentro ci saranno i semi di un addio alla vita, ne riparleremo.

L’incipit

Il pianista maturo non può restare indifferente a questo inizio, non ha nessun riferimento e nessun punto di ancoraggio, come tenere un tempo, o liberare un recitativo, può solo tuffarsi in se stesso a costo di stravolgerne i canoni di consuetudine.

La straordinaria sensibilità di Giovanni Bellucci mi aiuta a dare corpo a quello che voglio esprimere: prestate attenzione al suo incipit.

Alcuni punti che non hanno soluzione

Nel passare al secondo tema, qualsiasi cosa facciano i pianisti, l’ambiente cambia e l’energia scema. Rubinstein, dall’istinto infallibile (e che fa scuola) intuisce che c’è qualcosa di insolito e rende le note indicate esasperando il timbro. Ma è solo un’intuizione; osservatelo mentre un grande pathos lo pervade nel finale del primo movimento: che sia la grandezza della sonata?

Come rendere questa transizione? Marziale, a tempo o… lasciandosi sprofondare nelle viscere della terra?

Le mani del pianista e l’op. 35

Il primo e secondo movimento richiedono la coordinazione rotatoria passiva.

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Siccome ne ho già parlato a fondo analizzando gli studi rimando il lettore interessato ad approfondire consultando gli studi che riguardano l’op. 35 sono il 10-9 e 12, il 25-1, i tre per il Metodo dei Metodi).

L’attivazione energetica della mano è questa che vedete a destra: se mantenete il ritmo passivamente si attiverà da sola e rappresenterà la condizione più conveniente per questa sonata. Fondamentale per risolvere i problemi di estensione della sinistra nel primo movimento o le asperità dello scherzo.

Per il terzo e quarto movimento invece la conformazione ideale è quella centrale: entrambe le mani si compattano a partire dalla parte interna dei mignoli. Fondamentale per avere un effetto multidirezionale nella Marcia funebre e centripeto nel finale.

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Tra i primi due tempi e gli ultimi due, l’energia delle mani in realtà si intensifica, a dispetto dell’apparenza di un tempo lento e di un breve finale a mani pari.

Ecco dunque svelato il mistero della Sonata in si bemolle minore che spero dia un nuovo impulso alle interpretazioni di questa sonata, per la maggior parte sotto tono rispetto alle infinite potenzialità di questo capolavoro della naturalezza umana. Una conferma a quanto scritto la trovate in questa splendida interpretazione di Gyorgy Cziffra, la migliore e più unitaria (ovviamente da un punto di vista oggettivo, slegato dai gusti personali): verso la fine della sua vita, mai più riavutosi dalla perdita dell’amato figlio egli si trova nelle condizioni ideali per far passare da sé questa sonata: la Cattedrale dell’Inconscio.

Chopin meriterebbe di essere considerato come epicentro del pianismo, è la sua natura, ed è giusto che sia rispettata. Grazie a lui il pianista non corre più il rischio di essere separato da se stesso.

 

 

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e di prossima pubblicazione su Amazon, il rivoluzionario Seitai al pianoforte - suonare con i 5 movimenti. Il Seitai spiegato allo studente di pianoforte, ad uso dei Conservatori e Civiche Scuole di Musica.