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E se il nucleo ordinatore, la fonte nascosta del pianismo di Franz Liszt, fosse la voce?

E allora che cos’è la “voce”, e cosa la differenzia dal “canto”?

La voce è il canto alla sua sorgente, manifestazione di pienezza vitale, discendente mantice inspiratorio, sonorità piena, corpo vibrante; in altre parole, senza il “virus” italiano, che porterà a dire (non ricordo più  chi, forse Mascagni): “Per cantare serve anche la voce”.

E’ molto bello e istruttivo osservare come questa cantante utilizzi le braccia; una cosa che dovrebbe imparare anche il pianista,piuttosto che farsi “coordinare” dal corpo-CVP
e dalla respirazione petto-ventrale.

Chopin, preservando miracolosamente l’identità dello strumento, ha tradotto il canto in suono pianistico, ma attenzione, lasciandolo pianoforte, come lui stesso ha dichiarato con lo studio op. 10 n. 3;

  • Sigismund Thalberg, fatalmente innamorato dell’Italia – nelle vesti della figlia di un baritono – mette insieme L’arte del Canto applicata al pianoforte, ma non ha la stessa chiarezza di Chopin e il risultato rimane sospeso tra l’ingenuità e l’imitazione: però contribuisce a definire la prima scuola pianistica “Italiana”, che col canto ha dimestichezza “genetica”.
  • Schubert invece, il pianoforte (da tavolo) l’ha fatto “cantare” veramente, lasciando però miracolosamente intatto il canto;
  • ci manca proprio – e sarebbe cosa degna di Franz Liszt – una via che trasformi l’impulso energetico della voce e del respiro in musica pianistica;

Non è certo un caso, quindi che Liszt abbia attinto a piene mani da Schubert, ai suoi tempi praticamente sconosciuto; noi pensiamo per realizzare delle trascrizioni – il pianoforte era la moda incostrastata del momento – ma così facendo oscuriamo la reale “portata”, sempre pretenziosa, delle sue intuizioni; neanche gli allegri festeggiamenti per il bicentenario sono bastati per farci intuire le sue vere intenzioni…

…ma grazie al cielo ci sono arrivate le cantanti!

Osservando Martine Reyners – della quale ho avuto modo di apprezzare di persona l’eccezionale istinto di insegnante –  cantare Liszt, possiamo finalmente trovare un primo punto in comune fra le due cantanti-lisztiane e (come capita con le intuizioni) non si contraddice quanto abbiamo detto su Franz Liszt e il suo fondamentale contributo a definire, pianisticamente parlando, la regione f-e, insieme a Domenico Scarlatti e Maurice Ravel;

se le osservate entrambe, e con il dovuto rispetto a due signore, potrete notare la saldezza del bacino (con tendenza ad aprire per Diana Damrau e a chiudere per Martine Reyners) e della testa dei femori che come due colonne doriche riescono a garantire la fluidità, la morbidezza, ma anche la potenza, di tutto il corpo.

Sarà semplicemente un’intuizione – che voglio condividere con chi vuole cercare nuove strade – sarò forse suggestionato da quest’idea, ma ho l’impressione che questo pianista, dopo aver accompagnato Martine Reyners, al momento del suo a solo ci faccia finalmente sentire Liszt con la voce dentro
…e le doppie ottave, che altro potrebbero essere se non questo suono vocale? (e notate sempre come le braccia si attivino…)

C’è un pezzo di Liszt che si presta benissimo a questo esperimento di dar voce al pianoforte: la Dante Sonata.

Se gli diamo questa angolazione, ne scopriremo magicamente il senso, altrimenti si corre il rischio di fraintendere in modo colossale la natura dell’autore. La terrei come epicentro, in direzione della Sonata, con l’aiuto delle trascrizioni.

Ma vediamo di stabilire qualche parametro:

Se ascoltate Enrico Pace eseguire la Dante sonata – che ho eletto a metro di paragone per analizzare questa tesi della vocalità soggiacente al virtuosismo di Liszt – sarete alle prese con un suono penetrante dal sapore d’acciaio, ma troppo pianistico: è come se mancasse qualcosa: diciamo il respiro?

All’esatto opposto, Arkadi Volodos: siamo di fronte ad un pianista dall’accesa bilateralità, cantabile ed empatia (verso il pubblico) straripano, ma ancora non ci siamo. Più che Franz Liszt sembra di ascoltare Franz Schubert, una Wanderer suonata sotto l’effetto della mescalina.

La soluzione la ttrovate ascoltando Giovanni Bellucci: un’onda di respiro unica e lunghissima che tutto contiene, e gradatamente rivela, piuttosto che esplosioni virtuosistiche (o dell’EGO del pianista che deve ammortizzare le ore passate a studiare le ottave…).

Lo stesso accade – ovvero un ricongiungimento tra suono del pianoforte e suono vocale – ascoltando Igor Kamenz: peccato di non poter disporre di una sua registrazione della Dante Sonata;

sotto le sue dita potrete apprezzare come tutto prende il senso della voce (della voce, non del canto!): dalle melodie in ottave e accordi, alle fioriture che diventano veri e propri vocalizzi;

Una lezione di Igor Kamenz e di Giovanni Bellucci di cui fare tesoro, se si vuole scalare la Sonata.

Per approfondire:

La tecnica delle ottaveCome coordinare il polso.

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e a marzo 2017 il rivoluzionario e-book Seitai al pianoforte, disponibile su Amazon.