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(Questo articolo offre una panoramica ampia, se volete lavorare subito praticamente sulle doppie ottave, andate qui.)


La muscolatura della braccia è quasi totalmente f-e

ovvero funziona bene e solamente nella verticalità. E’ il caso delle ottave pianistiche, vera e peculiare “rappresentanza” di questo movimento a livello pianistico.

Quindi la cosa più conveniente – più che “esercitare” le ottave con ore di riscaldamento, esercizi mirati e graduali – è utilizzarle subito e sempre come metro per rettificare la propria verticalità.

In parole povere: se non vi vengono, se sforzate, se accumulate tensioni è perché non state su dritti.

Le regole auree per suonare le ottave al pianoforte

1. Non bloccare il diaframma

Come per il cantante, al posto di sfarfallare con le braccia, il pianista dovrebbe preoccuparsi di non bloccare il diaframma.

 

Per un cantante è naturale coordinare braccia con diaframma

Nella foto vedete una cantante in piena coordinazione laterale. L’inclinazione, la spalla più alta, l’indice della mano sinistra più teso. Anche senza ascoltare il suono, possiamo intuirne uno dolce e melodioso, e potente.

Il diaframma è sensibile allo spazio e al movimento, e il cantante riesce a mantenerlo in movimento facilmente nel momento in cui cesella una frase o un vocalizzo facendola coincidere con uno spostamento nello spazio da un punto A a un punto B, o facendo la stessa cosa con le braccia, in modo molto tecnico ed efficace

 

il pianista (che non può camminare e le braccia deve tenerle sulla tastiera) riesce a fare la stessa cosa se riesce a creare uno spazio, definendo un punto d’inizio e un punto d’arrivo nella linea melodica stessa; le sue braccia saranno così guidate e coordinate dalla respirazione.

2. La paura dei “salti”

C’è un breve inciso – nella sonata in si minore di Liszt – dove il generoso Ungherese vi offre una vera e propria lezione di pianoforte:

solitamente il pianista è terrorizzato dall’improvviso salto a doppia ottava, troppo vicino all’inizio della sonata, ancora troppo esposto alle orecchie dell’ascoltatore: le prime due vengono fatte quasi in apnea. Ribaltate la situazione e utilizzate le prime due ottave per “verticalizzarvi”, studiando in modo tale che quelle effettive a doppia ottava vi possano venire in modo automatico.

Il pianista e didatta Jura Margulis – in modo estremamente acuto – parla semplicemente di un suono da raggiungere, con il tempo e lo spazio che necessita, e che può essere allargato a dismisura dalla percezione interna del pianista (approccio sano, perché la mente è integrata al corpo), altri vi invitano a fare affermazioni mentali tipo: sono già lì (meno sano: la mente non è integrata al corpo).

Entrambi i casi riguardano la psiche conclusiva, e funzionano solo se funziona il controllo auditivo.

3. La verticalità (il piano f-e) è la postura più conveniente

e la chiave per eseguire i passi di ottave. Però richiede un equilibrio tra sistema nervoso e attività muscolare.

Definita da regioni precise del corpo (e non altre): spalle, dorsali 3-4, lombari 1 e 5, testa dei femori, la base delle dita. Ognuno, quando lo sperimenta, si rende conto facilmente che il movimento statico verticale e quello dinamico frontale lavorano insieme, non sempre in modo equilibrato. Se contate troppo sul sistema nervoso, nel momento di suonare le ottave le dita si stireranno e non potranno dare il loro piccolo contributo: muoversi per aggiungere tocco e sensibilità, se attivate troppo la muscolatura non riuscirete più a controllarle, e sarete alla mercé della vostra ansia da prestazione: lo vediamo quando i pianisti si inclinano troppo in avanti o – peggio ancora – inclinano in avanti la testa, per attingere disperatamente forza e coordinazione dalle spalle. Non dimenticate che l’attività muscolare è indissolubilmente legata alla psiche pragmatica, il pianista è esposto a questo rischio, soprattutto quando lavora con le ottave.Se non avete mai lavorato sulla vostra postura, vi potrà aiutare immensamente quanto segue:

Occorre che le dita siano libere e il polso coordinato: lo ottenete facilmente se a definire l’ottava sono soltanto i  bordi esterni (gli estremi) di pollice e mignolo e non il palmo.

4. Il pianoforte ha i suoi limiti

il pianista che va veloce nelle ottave, ha meno suono e viceversa.

5. Non siate onnipotenti

se siete ben verticali, metà del lavoro lo fa il rimbalzo della tastiera, l’altra metà le dita.

6. Tutti gli spostamenti longitudinali

(salti compresi) vi verranno in forma automatica solo se mantenete la verticalità. Vi appariranno come un gratificante e rasserenante gesto continuo. Visto da fuori il curioso ascoltatore, sempre a caccia dei vostri segreti tecnici, vedrà solo un coordinato, discreto, elegante e piccolo movimento in avanti.

7. Le ottave risvegliano il suono

non il fracasso, non sono dimostrazione di potenza, ma manifestazione di chiarezza e struttura.

Vediamo spesso molti pianisti pavoneggiarsi della propria tecnica delle ottave, senza sapere che una buona tecnica è una buona verticalità, ed esasperano il suono, snaturando il povero Liszt pianistico e trascinandolo in regioni che non gli competono. Quando invece c’è veramente bisogno di una reale potenza, gli stessi pianisti disertano il repertorio.

E’ il caso del pianismo di Modest Musorskji:

le sue ottave non definiscono la regione f-e, ma contano su una tremenda forza centrale che nasce dal bacino compattando la colonna vertebrale.

A livello di scrittura pianistica non sono poi così diverse da queste di Liszt

solo che quelle di Musorskji hanno un suono feroce e magmatico, riservato a pochi pianisti, quelle di Liszt possente e luminoso, disponibile a tutti i pianisti di buona volontà che cerchino luminosità e struttura.

Non esiste – e lo sottolineo – nessun pianista prodigioso nelle ottave e toglietevi dalla testa una grande prestazione fatta tutta d’un fiato perché non esiste. Scoprite e lasciate lavorare invece, le risorse naturali del movimento.

Vi faccio un esempio pratico: se dovete stare a lungo sull’attenti l’universo mondo ad un certo punto… poggerà di più su un piede, attivando così la osei laterale come ricorso per ristorarsi. Cambia anche la psiche e l’atteggiamento ufficiale e serio lascia il posto a quello più visuale e piacevole. La stessa cosa vale per l’esecuzione di un lungo passo di ottave e persino in un passo da fare tutto d’un fiato come quello celebre del primo concerto di Ciaikovskji, ogni pianista (se sa che esistono) saprà trovare i momenti per attivare questo ristoro naturale per opera del movimento laterale. La psiche cambia: coincide con il momento in cui il pianista (e l’ascoltatore) percepiscono improvvisamente la curva melodica.

Non tutte le ottave definiscono la regione f-e: impariamo a riconoscerle.

Oltre a quelle appena viste di Musorskji le ottave (pochissime) di Chopin sono più orientate verso il dito 4 e la parte interna del dito 5, a un punto tale (come abbiamo visto per lo Studio op. 25 n. 10) da non essere considerate delle vere e proprie ottave (dell’ottava rimane solo la distanza sulla tastiera).

Le ottave di Brahms richiedono di utilizzare la regione f-e per mantenere la zona del dito 2 “esposta” (più in alto delle altre dita)

perché per Brahms (come abbiamo visto per le Brahms-Paganini), la facciata tecnica nasconde sempre le sue urgenze emozionali. Per questo motivo, per colpa di un uomo che non riesce a esprimere ciò di cui ha bisogno, le ottave più difficili della storia pianistica sono queste:

J. Brahms: concerto op. 83, Scherzo

in quelle di Scriabin i mignoli giocano sempre a rimpiattino:

Studio op. 8 n. 9

A conferma che la sensibilità di Rachmaninov è più vicina a quella di Bach piuttosto che quella di Liszt (un sentito più statico), quasi inesistenti le doppie ottave di Rachmaninov. Persino nel pomposo finale del Rach3, pur di evitare il sentito dinamico, interrompe il flusso con degli accordi per rendere le doppie ottave statiche.

Le ottave di Rachmaninov (quasi inesistenti) hanno sempre bisogno di un sentito completamente attento alla melodia e ai suoni acuti. Come in quest’altro esempio (sempre Rach 3), tutto viene orientato verso l’alto e dove Liszt non si sarebbe fatto scrupolo di eseguirlo in doppie ottave martellate…

8. Cercate di capire quale sensibillità corporea vi appaga

T1: il famoso passo di ottave

esiste una predisposizione specifica per ogni pianista e una (al massimo due combinate) soltanto. Se non la scoprite siete a rischio di confusione e di non accorgervi di cosa realmente è attivato e vivo in voi a livello spontaneo. Potrebbe appagarvi di più creare un ciclo continuo di tensione-distensione, in questo caso divertitevi a trovarlo nel passo di ottave che avete di fronte a voi da studiare. Potreste essere maggiormente attirati dal timbro o essere meglio  orientati dal ritmo. Potreste avere (senza ancora riuscire a riconoscerlo) il bisogno di percepire la frase musicale come un’onda il più lunga possibile oppure essere affascinati (e quindi guidati) dalla linea melodica.

Se osservate i grandi pianisti suonare le ottave, vi renderete subito conto che il fascino e la resa – anche semplicemente tecnica – dipende in realtà dalla loro capacità di definire con chiarezza e appagamento personale una soltanto di queste modalità-sensibilità corporee.

Per comprendere meglio cosa intendo per “sensibilità corporea” potete guardare questo estratto della conferenza che ho tenuto al Pozzoli village dove affronto l’argomento:

In sintesi

  1. Sedersi verticali (che non è l’aaaattenti! militare);
  2. Far lavorare attivandoli solo i bordi esterni della mano;
  3. Lasciare il diaframma sempre in movimento, definendo con chiarezza un punto di inizio e di fine (il diaframma è sensibile allo spazio e al movimento);
  4. Cercare cosa vi appaga di più: la melodia, il timbro, il ritmo e la tensione-distensione, il contrasto dinamico, l’onda unificata;
  5. Equilibrate il sistema nervoso con quello muscolare. Vi può aiutare a farlo solo una persona: Franz Liszt, anche per i principianti;
  6. Imparate a scoprire come e quando si attiva il vostro ricorso naturale laterale.

Comprendendo le ragioni posturali che stanno dietro la tecnica delle ottave e la loro definizione al pianoforte scoprite anche che le note ribattute non sono un aspetto tecnico a sé stante, ma semplicemente l’altro lato della medaglia delle ottave: qualunque veloce scambio di dita che mantenga il sentito degli estremi. L’attivazione dei bordi esterni della mano – fondamentale per eseguire le ottave – e quindi anche per le note ribattute diventa una matrice comune anche per gli aspetti tecnici relativi agli altri strumenti.

Solo che nel pianoforte le ottave – da quelle col pum pum di Clementi alle strepitose di Liszt passando per quelle vulcaniche di Musorskji – definiscono, con un aspetto tecnico, la sua natura.

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e a marzo 2017 il rivoluzionario e-book Seitai al pianoforte, disponibile su Amazon.