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Fa un certo effetto tenere una conferenza nel bel mezzo di un concorso pianistico, con il caratteristico viavai di concorrenti che vengono nella sala per provare.

Tesi, angosciati, alla ricerca del suono giusto, o assillati dai passaggi più complicati. Cambiano i tempi, ma sento suonare i soliti pezzi: Gaspard, la Tempesta, la sonata di Berg, le Brahms Paganini. A un certo punto – e devo dire a malincuore – l’organizzazione “devia” il malcapitato concorrente verso un altro pianoforte. Si comincia. I presenti mi guardano e si interrogano: ma chi è questo, un pianista, un concorrente?

Il tema centrale dell’incontro, costellato di esempi musicali che mi ubriacano per la bellezza del pianoforte che ho sotto le dita (ho preparato tutto frettolosamente qualche giorno prima su una tastierina, nascondendo il pedale ogni volta che il mio piccolo Haruki lo vedeva per giocarci) è un argomento importante, di solito riservato alle master class più specialistiche: l’interpretazione. Verranno fuori spunti interessanti, una nuova ipotesi per interpretare Mozart, il funzionamento delle dita, la riabilitazione di Rachmaninov, la centralità quasi Copernicana del pianismo di Chopin. Mancano però i pianisti, con cui – quando immaginavo come sarebbe potuto essere l’incontro – avrei voluto entrare subito in relazione. Sono più presenti gli ascoltatori, che invece scoprono un mondo nuovo, quello che dovrebbero essere i pianisti a fargli scoprire, visto che sono lì a lottare per essere ri-conosciuti e poter… fare concerti!

 

Il percorso
da seguire è chiaro: scoprire l’autore che si sta interpretando nella maniera più profonda e reale possibile e contemporaneamente invitare il pianista a rispettarlo rimanendo però fedele a se stesso, per far passare – con un simile filtro osmotico – la musica.

Semplice a parole ma, stando dentro il contesto e il meccanismo di un concorso, realizzo chiaramente l’enorme distanza con la sua realizzazione, per un altrettanto semplice motivo: ci si complica la vita in modo gratuito. Infatti, mentre parlo di un misterioso asse che unisce Scarlatti e Liszt a Ravel ho ancora nelle orecchie gli stralci di in Gaspard aggressivo, accanito sulle doppie note di Ondine piuttosto che sulla meraviglia per la luce che creano, e mentre parlo della vita segreta di Beethoven – la sua vita reale – mi torna in mente una Tempesta da poco provata che – come il gioco del passaparola – è ormai deformata e confezionata ad uso dei concorsi.Tutti hanno sotto gli occhi i ritratti di Beethoven e la sua postura in perenne torsione. Nessuno si rende conto che in tali condizioni il dito che comanda è sempre l’anulare che controlla sia la forza della mano che il suono. Il celebre finale di questa sonata – dovrebbe essere un Picassiano incastro di ritmi su cui aleggia una melodia – permetterebbe al pianista libero (che gli altri chiamano geniale) di renderlo più moderno della lugubre sonata di Berg, che invece urla per essere riportata nel passato. Ciò che si sente da sempre, perché soddisfa il giurato che può così valutare il grazioso tocco di tante manine è invece… Schubert con il singhiozzo!

Mi interrogo sul senso di un simile spreco di energie vitali. Fa così paura essere dei pianisti soddisfatti?

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e di prossima pubblicazione su Amazon, il rivoluzionario Seitai al pianoforte - suonare con i 5 movimenti. Il Seitai spiegato allo studente di pianoforte, ad uso dei Conservatori e Civiche Scuole di Musica.