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Sedetevi con calma, con una buona tazza di caffè e la che trovate nel sito. Viaggeremo lontano.

Il pianoforte è fondamentalmente uno strumento strutturale f-e (in verde nella figura); ne è una prova il vibrato: realizzabile persino su un tamburo, è impossibile al pianoforte. Corde tese da un estremo all’altro, movimento unidirezionale del martelletto, se non ci fosse il pedale e un pò di feltro, non avrebbe neanche la dimensione timbrica e il controllo della dinamica. E abbiamo già un primo ritratto del pianista: colui che sa gestire una mancanza e colmare un vuoto. La regione circolare (in giallo nella figura), incarnata dai suoi profeti – Beethoven (circolare periferico, movimento di torsione) e Scriabin (circolare statico, movimento multiradiale) – è quella che più risente dei limiti del pianoforte*. Beethoven andrebbe infatti restituito nuovamente alla dimensione improvvisativa per poter rispondere appieno alla naturalezza dello strumento, e Scriabin – da buon russo, trasferisce tutto alla dimensione centrale – deve mutuare una delle più geniali intuizioni di Chopin: la continuità che offre al suono un effetto centripeto (finale op. 35 e primo dei nouvelles etudes, preludio op. 45).

In verde il “mondo” del pianoforte, in giallo il “regno proibito”, in rosso la “terra di mezzo”
Se il cantante, trasferendo la gravità al bacino (regione circolare, base immobile del corpo), trova la fonte della sua voce, se il violinista, annullando la differenza tra suono esterno e interno (regione circolare periferica, base mobile e controllo auditivo), e guidato unicamente dal vibrato, crea la fonte del suo suono, il pianista è invece escluso da questi processi. Potrà trovare se stesso solo dentro la struttura rigida dello strumento, ottimizzandola a partire dal proprio corpo (Chopin) a volte esaltandola (Liszt, Ravel, Scarlatti), ma rassegnandosi a contemplare da lontano luoghi per lui inaccessibili (Musorskji, Mozart, Schumann). Unica scappatella, una vera e propria Isle joyeuse: il timbro. Meno male che Schubert, Brahms e Debussy, ma anche Rossini e Scott Joplin, hanno amato il pianoforte (in rosso nella figura).

Se un cantante o un violinista possono stregare e soggiogare l’uditorio fin dal primo suono, il pianista ha invece bisogno del tempo di almeno una frase o di più suoni in relazione tra loro per fare in modo che l’ascoltatore senta che ha qualcosa da dire (i primi dieci secondi, dice Jura Margulis);

nessun pianista al mondo potrà mai farvi capire che suonerà bene la Ballata op. 23 dai due do iniziali, ma dalle interconnessioni che saprà creare nella prima frase.

Al contrario di un violoncellista: vibrerete con lui dal primo sol…

Eppure, essendo la creatività umana molto flessibile… c’è chi ci ha provato:

  • Mozart per primo, grazie alla sua capacità di immaginazione (dando l’illusione che la musica cominci prima che il pianista tocchi la tastiera ed integrando il silenzio in partitura) e grazie all’entusiasmo che dimostrò verso l’allora neonato strumento;
  • Schumann, ben presto spaventandosi di ciò che stava scoprendo, cioè che la pulsazione interna e esterna non coincidevano! (Del resto le Variazioni su un tema di Beethoven sono… sparite, e gli Studi Sinfonici sono la storia di un rimaneggiamento continuo);
  • e… Musorskji, l’unico veramente in grado di dare forma in modo creativo a qualcosa di impossibile.

E ci riesce alla grande. Un esempio a campione: trasferendo tutto alla zona penultima/base, si ottiene un effetto di legato sorprendente!

Non è un caso – come per tutte le più estreme sperimentazioni – che la maggior parte delle sue opere pianistiche, tra cui tre sonate, sia andata perduta e i Quadri si ascoltino più spesso e in modo più rassicurante nella versione orchestrale.

Per comprendere meglio bata pensare ad una trottola. La si fa girare con un forte impulso rotatorio dopodiché dà l’impressione di stabilità. Beethoven ben rappresenta la forza iniziale, Scriabin l’altra. Però la trottola simula solamente la verticalità e non la definisce: quando finisce l’impulso cade a terra. Essendo il pianoforte f-e alcuni autori dalla spiccata naturalezza circolare sono in realtà irrealizzabili se non creando delle convenzioni o rassegnandosi a considerare la loro esecuzione come un salto nel vuoto… Un esempio lo vediamo con il legato, parametro sonoro caratteristico della regione: concretamente realizzabile dalla voce o da uno strumento ad arco, nel caso del pianoforte diventa una simulazione e una convenzione. Gli unici parametri della regione circolare che può realizzare il pianista, oltre alla totale gestione della dinamica sono: la qualità della sua interpretazione, il senso di spazio-tempo che lascia nell’ascoltatore, la gestione del silenzio.

 

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e di prossima pubblicazione su Amazon, il rivoluzionario Seitai al pianoforte - suonare con i 5 movimenti. Il Seitai spiegato allo studente di pianoforte, ad uso dei Conservatori e Civiche Scuole di Musica.