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Se dovessi oggettivare 
la “tecnica pianistica”, e osservarla dal punto di vista del movimento umano vitale, dovrei dire che questa coincide esattamente con la definizione – alla tastiera – della
regione f-e.

Sull’impostazione della mano

Si parla spesso di “impostazione della mano”, ma nessuno dice al pianista che impostare la mano vuol dire semplicemente… saper definire tre linee. Vedo spesso i pianisti – prima di iniziare a suonare – sollevare il braccio per aver cura che si rilassi, e possa trasferire bene il peso, ma senza che tale braccio definisca niente in particolare.

“Definire” una mano pianistica non sempre coincide con una bella posizione, mai con una posizione standardizzata.

Una bella mano impostata, e il pianista più elegante. Osservate come i bordi esterni di pollice e mignolo, insieme al terzo dito, definiscano il movimento “avanti” che Thibaudet sta vivendo nell’attimo in cui è stato fotografato.


La peggiore… quando le braccia sono eccessivamente affaticate da uno studio troppo “volontario”, la tensione si riflette con un indurimento nella zona delle vertebre C7 e D1. Come capita a questo pianista immaginario che però rappresenta bene la realtà di molti pianisti…


Non tutti i pianisti sanno – nessuno glielo dice – che una buona impostazione della mano e una buona coordinazione dita-polso dipendono dallo sviluppo armonioso del sistema nervoso centrale.

Guardando come mette le mani sulla tastiera Alexander Lonquich in questa foto, senza bisogno di ascoltarlo, so già che mi trovo di fronte ad un pianista di raffinata e brillante intelligenza.


Sulla tecnica del “peso”

tale approccio – seppur valido in se stesso – presenta però varie lacune che nascono da una mancanza di conoscenza del funzionamento spontaneo del corpo.

Di dieci modalità di canalizzare l’energia motoria e muscolare, solo quella relativa al taiheki centrale + è quella naturalmente predisposta a “pesare”. Non è un caso che – con le opportune modifiche e codificazioni – sia stata adottata dai Russi e prenda il nome di Tecnica Russa. I tessuti di certe direttrici longitudinali delle braccia presentano già una certa lassità che non interferisce con il rilassamento del braccio. Ma non è per tutti. E’ il caso di pianisti come John Ogdon, Lazar Berman, Vladimir Horowitz (lui solo in parte). Non dimenticate che “chi pesa” in forma naturale deve poter avere in automatico dei fortissimo devastanti. Come Lazar Berman, per chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo…

 


gomito versus senso degli estremi
il gomito viene generalmente considerato come il pivot del peso del braccio. Se il pianista, invece di pensare alle braccia prima cerca la propria verticalità (per esempio accompagnando il movimento ascendente della testa) scoprirà un altro mondo: niente più passività del braccio, niente gomito che fa da pendolo, niente appoggio statico ma chiaramente definiti gli estremi: quelli prossimali tra pollice e mignolo e tra dita e polso, e quelli distali, tra punta delle dita e base del braccio.
Le braccia rispondono immediatamente se è il corpo che si organizza.

 

Il gomito funziona “attivamente” solo in coordinazione rotatoria, ovvero quando il pianista è guidato dal senso ritmico e dall’autoascolto.

Ve lo faccio spiegare da Beethoven:

Parlando in merito ad uno studio di Cramer, Beethoven – musicista rotatorio per eccellenza – suggerisce che per facilitare la coordinazione delle dita, la prima nota di ogni gruppo di quattro non deve lasciare il tasto finché non è suonata la quarta.

 
 

E’ ciò che accade quando vi organizzate ritmicamente, provatelo con la Waldstein. Quindi, come potete ben vedere, affidarsi al peso – piuttosto che imparare a risvegliare la capacità di coordinazione – non è sempre conveniente: si perde il gusto di apprendere dal proprio corpo.

Rilassamento versus tensione-distensione

non si tratta di rilassare il braccio, ma saper attivare un continuo ciclo di tensione e distensione. Il prezzo da pagare è il rischio di “subire” il pianoforte o avere un suono standardizzato.

 

alcune cose che il pianista dovrebbe sapere
1). la coordinazione delle braccia dipende da quella del corpo ma la TPE (Tensione Parzializzata Eccessiva), che si origina sempre e solo nel corpo confluisce nelle braccia per essere alleviata. Il pianista si trova quindi in una situazione complessa di cui ignora l’esistenza e gli è impossibile trovare il bandolo. Egli lavora sulle braccia, sulla tecnica, sulla conoscenza dei muscoli, senza lavorare direttamente sulle braccia per ritrovare  la perduta coordinazione braccia-CVP.

2). i muscoli delle braccia sono al 90% flessori estensori – per questo l’organizzazione verticale f-e li può guidare, tuttavia risentono dei 5 movimenti, se si sa come attivarli.

Vediamolo insieme a questo video estratto da una Masterclass di Andras Schiff sulla 111 di Beethoven.

Mentre il pianista spiega, le sue mani si muovono come se fossero già sulla tastiera, definendo la linea che arriva al pollice e al mignolo grazie all’asse medulare (l’immaginaria linea che arriva al terzo dito). Sta definendo il piano f-e nella sua forma più statica, il movimento è aggraziato e apparentemente delicato perché l’attivazione del movimento fa conto esclusivamente sul sistema nervoso. Nella prima variazione esegue al pianoforte esattamente quello che prima tracciava per aria. Quando attacca la seconda variazione, dal suono più soave, utilizza la regione f-e per incurvare la mano e alzare la zona del secondo dito. Nella terza, ritmica, utilizza sempre la regione f-e questa volta per spostare l’energia nella zona dell’anulare. Nella successiva, la regione f-e sarà utilizzata invece per compattare la mano e poter rendere il suono magmatico e misterioso.

Definire la regione f-e permette agli altri movimenti di attivarsi naturalmente, come nello strepitoso esempio offerto da Gyorgy Sebok con un’arancia:

saper definire la regione f-e è come poter tenere l’arancia tra le mani…

 

trasferimento del peso con raggruppamento delle dita
3). in fondo è intuire che le braccia si organizzano per regioni, senza però ben comprenderne la realtà funzionale e l’interdipendenza naturale dei cinque movimenti.

4). l’attivazione effettiva delle braccia è sempre spontanea.

Mi spiego meglio: se voi prendete un oggetto con cura e attenzione, senza accorgervene saranno attivati il pollice e il mignolo, aiutati dall’asse medulare: le punta delle dita saranno estremamente sensibili. Se state facendo un lavoro pratico, senza accorgervene, state attivando i bordi esterni delle braccia e così via. Il pianista – invece – attento solamente a come impostare la mano, a che grado di curvatura devono essere le dita (15°, ho letto da qualche parte…), al grado di rilassamento, a quali input mentali neurovegetativi attingere, non si rende invece conto di cosa è realmente attivato in quel momento, renderà vano ogni tentativo di progredire. E non potrà aiutarlo neanche il suo insegnante, se non ha una sensibilità didattica.

5). allo stesso modo, cercare un’impostazione senza rendersi conto di quali zone della mano sono affette dalla TPE, cioè non più sensibili al movimento, porterà solamente a forzare e suonare in modo volontario, cioè senza soddisfazione personale.

6). La testa e il bacino non sono mai sullo stesso asse (lo impedisce la TPE), questo pregiudica il corretto posizionamento delle braccia, per quanti sforzi voi facciate “volontariamente”.

7.) La verticalità necessita di un equilibrio tra sistema nervoso e sistema muscolare, intimamente interconnessi. Hanno bisogno di equilibrio: il famoso appoggio statico è semplicemente l’intuizione – a livello naturale – della presenza del sistema nervoso. Va equilibrato con quello muscolare.

 

 

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e di prossima pubblicazione su Amazon, il rivoluzionario Seitai al pianoforte - suonare con i 5 movimenti. Il Seitai spiegato allo studente di pianoforte, ad uso dei Conservatori e Civiche Scuole di Musica.