Così come Glenn Gould, utilizzando edizioni non particolarmente filologiche, e inventando due o tre cose che non c’entrano niente ma che funzionano (arpeggiare gli accordi per moto contrario, per esempio), ha creato un riferimento imperituro nell’interpretazione di Bach, allo stesso modo fa Mikhail Pletnev con le sonate di Domenico Scarlatti.
In ogni sua interpretazione c’è un non so che che funziona e diventa un chiaro riferimento che si distacca da quella di qualsiasi altro pianista – bella o originale che sia – perché riesce ad oggettivare coordinate assolutamente pertinenti al geniale compositore italiano, vero padre naturale del pianoforte. L’assoluta definizione della verticalità, la ribollente vitalità, le radici della tecnica, il timbro asservito alla brillantezza e…
la drammatica tensione continua tra i due estremi
Vi faccio un esempio con la K9.
Trovate evidenziati gli “estremi” che sono in grado di attivare il fraseggio e il motore scarlattiano in modo compiuto e oggettivo. Coordinate che – per caso o perché ha una sensibilità russa, meno sensibile alla struttura e quindi più potenzialmente desiderosa di possederla – fanno di Pletnev, a mio parere, il miglior interprete di Scarlatti al pianoforte, che non glorifica se stesso o il virtuosismo del pedale di una corda, insomma un vero e proprio Glenn Gould… russo.
Basta con le chiacchiere. Ecco a voi Mikhail Pletnev – Scarlatti.