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Comprendere l’essenza per interpretare

Interpretare non è cosa che riguardi solo i pianisti “di classica”, perché non c’è jazzista o improvvisatore che non abbia avuto bisogno di confrontarsi con l’Intelligenza Pianistica dei grandi Autori che hanno scritto per il pianoforte. Interpretare è anche il meraviglioso, sacro e timoroso rispetto del dilettante che si avvicina a un pezzo che ama animato dal desiderio segreto di poterlo suonare… non dimentichiamolo.

Interpretare significa conoscere e rispettare la naturalezza dell’autore che state suonando “equalizzandola” attraverso la conoscenza della propria.

Grazie alla Nuova Conoscenza delle Osei, sappiamo che il movimento del pianista non implica solamente una gestualità fisica, ma la percezione determinata su una dimensione concreta del mondo. Non è possibile avere un buon tocco regolare per suonare Bach senza offrirne l’aspetto contemplativo, o “espandere” le vostre braccia per suonare lo studio op. 25, n. 1 di Chopin senza saper abbracciare. E’ questo il segreto dei grandi interpreti. Il loro movimento è chiaro e preciso e si traduce in un modo di suonare unico e irripetibile.

Lo stesso discorso lo possiamo vedere in retrospettiva per gli autori:

  1. quale è la loro naturalezza?
  2. Quale movimento viene privilegiato?
  3. Come queste indicazioni mi possono essere utili per interpretarlo al meglio o suonarlo con più facilità?
  4. E’ affine al mio modo di essere o di interpretare?
  5. In che modo posso dare un contributo originale alla loro interpretazione (il concertista)?
  6. In che modo posso trarne la massima soddisfazione personale (il dilettante)?
  7. Tutto questo è visibile nella loro scrittura?

 Ammettiamo che un pianista abbia bisogno di sapere:

Come si suona Brahms al pianoforte?

Ecco che risposte ci può dare questa nostra nuova conoscenza:

  1. Le emozioni sono coagulate, una certa povertà di armonici acuti è “congenita”.
  2. La gravità del corpo è a sinistra, la spalla sinistra risulta quindi un poco più “alzata” rispetto alla destra (lo vedete in tutte le foto di Brahms…).
  3. Il dito che guida l’intera mano in tutto il suo pianismo è il medio, soprattutto il lato interno contiguo all’indice, soprattutto della mano sinistra, che cerca e “scava” nel basso.
  4. Le Brahms-Paganini (una straordinaria raccolta di variazioni virtuosistiche) sono tecnicamente irrealizzabili se si attivano gli estremi (come farebbe Liszt) al posto della zona media delle braccia.
  5. Allo stesso modo, i 51 fantastici Esercizi, sono assolutamente inutili se volete “farvi la mano”, ma utilissimi per domare un cavallo selvaggio come il secondo concerto.

Il rapporto creativo tra la naturalezza dell’autore e quella dell’interprete viene vissuto in un aspetto caratteristico del pianista concertista: la scelta del repertorio. Ogni grande pianista ha i suoi cavalli di battaglia, ma anche “regioni” d’ombra, ovvero autori con i quali non si trova minimamente. Lo stesso Arthur Rubinstein che portò a battesimo prime assolute di pezzi assolutamente “micidiali” come la seconda Sonata di Szimanovsky o il Rudepoema di Villa Lobos ammetteva candidamente:

“Certi studi di Chopin li suono bene, altri così e così, altri ancora non li ho neanche mai guardati…”

 L’osservazione del taiheki – la osei prevalente per condizionamento ereditario o congenito – ci chiarisce finalmente le idee:

L’interprete offre il meglio di se stesso e delle sue dita con autori dal medesimo taiheki: Glenn Gould con Bach, Julius Katchen con Brahms, Horowitz con Scriabin e Musorskij, o complementare come Alfred Brendel con Liszt, Gyorgy Cziffra con Chopin.

Ma con autori il cui Taiheki è incompatibile con il proprio, non solo l’interpretazione è meno efficace e più combattuta, ma potrebbero persino manifestarsi dei problemi tecnici.

La logica naturale è rigorosa: attrazione, repulsione o indifferenza sono l’unico campo possibile dove l’interprete vive la sua scelta.

Un interprete sente tutto questo ad istinto ovviamente, ma potrebbe non esserne consapevole. Con la prospettiva Seitai ora, chiunque può rendere oggettiva, concreta e comunicabile, l’intuizione.

Per dimostrarvelo vado a cercare nel web due interviste a caso per mettere alla prova quello che vi ho appena detto su Brahms al pianoforte. Ne trovo una fatta a Gustavo Dudamel e un’altra ad Antonio Pappano. Il primo parla del famoso incipit del primo concerto di Brahms, dove la colossale tessitura orchestrale che precede l’entrata del piano deve essere stemperata dal pianista con dolcezza, ma con la medesima intensità (emozioni coaugulate…). Il secondo parla direttamente del pianismo brahmsiano dove, pur occupando tutta la tastiera è il basso che scava a guidare il tutto (il lato sinistro del pianista…) e non si mai dove si andrà a finire, se in gioia o tristezza, in quanto lo slancio si ripiega sempre su se stesso.

Approfondiremo insieme questa “Filologia della Naturalezza. Rimarrete sorpresi, scoprirete cose nuove, altre non riuscirete ad accettarle. Per me che vi  scrive è il capitolo più duro di tutto il libro, perché dentro ci sono anni di scoperte distillate che avranno la responsabilità di cambiare molte cose e sfatare molte credenze… ma anche un viaggio che vi auguro possa essere estremamente proficuo e una risorsa che utile e produttiva per tutta la vita.

Qua vi offro solamente una sintesi orientata secondo le tre regioni, perché il lavoro è complesso, articolato e in continua evoluzione, potrete approfondire consultando il mio Magazine nella categoria Filologia della Naturalezza.

I tre maghi della regione f-e

Poter stare su dritti senza tensioni richiede la partecipazione di tutti e cinque i movimenti vitali. Tuttavia solamente due definiscono la verticalità: quello alto/verticale in modo statico e quello avanti/frontale in senso dinamico. Bach è un ottimo rappresentante di quello verticale, Clementi, quello dinamico e frontale.

Però… questo inizio di sonata– la K159 – apparentemente, non ha soluzione:

Piano SeitaiInfatti, se cerchiamo uno “staccato” Bachiano, sentiamo subito che qualcosa non funziona: non “risuona”; se la affrontiamo “muscolarmente”, come fosse una sonatina di Clementi, le mani – nonostante siano quasi pari – fanno fatica a lavorare insieme, gli abbellimenti si dissociano dal fluire ritmico, si creano dei “vuoti” tecnici.

In Bach prevale sempre il movimento verticale/statico, al grande compositore interessava l’aspetto speculativo della musica, non lo strumento che la produceva. Il WTC, infatti, è per tastiera, l’arte della fuga, non prescrive alcuno strumento.

In Clementi – invece – prevale sempre il movimento frontale/dinamico è il primo compositore della storia che “mette dentro” nel movimento pianistico, la “benzina”. E avete visto che, non a caso, è un italiano: editore, imprenditore socio di editori e costruttori di pianoforti, testimonial (e socio) della diffusione del guidamani, Clementi può essere solo un musicista pragmatico, che vede nel suo nuovo strumento – il pianoforte – grandi possibilità economiche e di espansione.

In Bach il piano f-e fa conto su un’attività esclusivamente nervosa, in Clementi muscolare;

in Scarlatti – finalmente – sono perfettamente equilibrati.

Fosse in vita, sarebbe il miglior testimonial possibile di questo mio libro:

“Non aspettarti, o dilettante o professore che tu sia, in questi componimenti il profondo intendimento, ma bensì lo scherzo ingegnoso dell’arte, per addestrarti alla franchezza sul gravecembalo. Né viste d’interesse, ma ubbidienza mossemi a pubblicarli. Forse ti saranno aggradevoli, e più allora ubidirò ad altri comandi, di compiacerti in più facile e variato stile: mostrati dunque più umano che critico: e sì accrescerai le proprie dilettazioni. Per accennarti la disposizione delle mani, avvisoti che dalla D viene indicata la dritta e dalla M la manca. Vivi felice”.

Per ritrovare lo stesso magico equilibrio dovremo aspettare Franz Liszt.

Quale aspetto della tecnica pianistica meglio rappresenta la verticalità e la regione f-e?

La tecnica delle ottave.

Mi dispiace per i pianisti che passano ore a esercitare i passi di ottave, ma non esiste altra tecnica per eseguirle con soddisfazione che… stare su dritti! Persino i più clamorosi spostamenti lungo la tastiera sono solo e sempre movimenti alto/avanti. La prima volta che ho visto la partitura del Mephisto Valzer, non riuscivo a credere che ai pirotecnici fuochi d’artificio che avevo sempre ascoltato potessero corrispondere dei segni grafici così puliti, lineari. La sensazione di essere davanti ad una enorme sonata di Scarlatti era troppo forte…

Tutta la sua musica pianistica, dal primo Allegro di bravura che scrisse a 13 anni a Nuages Gris, che scrisse alla fine della sua vita, cerca e definisce continuamente gli estremi.

Questo fantastico incipit in realtà definisce la verticalità. Non dovete cercare altro che “stare su dritti”.

Piano SeitaiLiszt è un uomo generoso: ti mette lui le mani sulla tastiera e ti offre sempre anche la soluzione tecnica

Piano SeitaiNiente male, vero? Liszt contrariamente a quanto si crede, meriterebbe di essere insegnato sin dai primi anni di pianoforte, come eccellente “posturologo”.

Maurice Ravel, a differenza di Liszt e Scarlatti, invece, non era un grande pianista. Una sera, da bambino, a casa con mamma Rinaldi, Nino Rota incontrò Ravel che gli chiese: “So che sei già un bravo pianista: ma lo suoni Chopin? E’ importante!”.

L’equilibrio f-e con Ravel si fa sorprendente. Vi ricordate gli esercizi all’inizio del libro? Se date un impulso alle spalle in avanti, tutta la CVP segue in automatico fino… alla testa dei femori. Il pianismo di Ravel, per la prima volta nella tecnica pianistica, richiede la partecipazione attiva di una parte del corpo che solitamente… se ne sta tranquilla sul panchetto!

Questi tre maghi della regione f-e costruiranno la struttura ossea della vostra tecnica pianistica. Se mi avete seguito fin qua e avete condiviso questo filo comune che lega tre autori lontani nel tempo, date ora un’occhiata alle “credenze” che abbiamo scardinato:

Domenico Scarlatti è il padre naturale del pianoforte. Vi spiega come mai – nonostante tutte le polemiche filologiche – solo al pianoforte rende sempre bene e meglio.

Franz Liszt non è un supereroe. Non ha innovato la tecnica pianistica, cosa che fa il suo amico Chopin, ma gli da la più sontuosa struttura che il pianoforte abbia mai conosciuto. Per questo è molto amato dai pianisti che però troppo spesso dimenticano… che lasciò la carriera concertistica a un terzo della sua vita, più o meno la stessa età in cui la lasciò Glenn Gould, e che non ha niente a che fare con l’accezione comune di virtuosismo (altrimenti confondete la buona postura con il culturismo…) che è riservato ad altri autori. Quali? Quelli mai eseguiti: Karl Maria Von Weber, Alkan, Musorskji.

Che Ravel non solo non è correttamente rivalutato, ma addirittura ancora si confonde il suo pianismo con quello di Debussy. Lo potete verificare subito con l’incipit di Ondine: se attivate la regione del secondo dito, otterrete un suono timbrico e liquescente, ma se attivate al massimo grado i bordi esterni di pollice e mignolo, avrete un inizio regolarissimo e soprattutto luminescente.

Piano SeitaiLa ricerca degli estremi con Ravel, si fa… estrema.

Gli emozionali

La vita emozionale, così come la conosciamo, si muove nel piano bilaterale: ogni volta che proviamo un’emozione, attiva o introvertita, senza neanche rendercene conto una metà del corpo si contrae e l’altra vi espande, il braccio destro si coordina con la gamba sinistra e viceversa. La vita emozionale la troviamo ben rappresentata da due poderosi atti naturali, ridere e piangere, e non andrebbe confusa con altri aspetti. Rabbia e frustrazione – per esempio – non appartengono a questa sfera, ma più vincolati al movimento rotatorio e frontale non soddisfatti. L’affettività è invece pertinenza del movimento centrale.

Gli autori che maggiormente hanno incarnato questa regione sono Franz Schubert, Claude Debussy e Johannes Brahms. Anche in questo caso il loro accostamento, come prima per l’asse Scarlatti-Liszt-Ravel è dovuto al semplice fatto che manifestano una comune attività vitale che si riflette – condizionando in modo molto preciso e rigoroso – il loro pianismo e la loro scrittura.

Nel caso di Brahms l’emozione è introvertita e coagulata molto profondamente. Egli appartiene a quella categoria di persone che, messe di fronte a tre scelte, è la quarta che desiderano ardentemente, e mai vorranno rivelarvi, qualcosa che riguarda noi pianisti italiani se pensate all’incontro tra Brahms e Giuseppe Martucci.

Tengo molto a sottolinearvi questi autori poiché, vista la naturalezza “laterale” dell’Italia, potrebbe fare dei nostri pianisti delle eccellenze assolute in questo campo.

Se date un’occhiata alle loro partiture – sempre pulite e lineari alla vista – rimarrete sorpresi dall’enorme utilizzo di indice e medio, che in Debussy è addirittura abnorme. Notate in che modo ingegnoso dà vita all’indice in questo inizio

e con che preoccupazione addirittura ossessiva le emozioni da rendere sono scritte in partitura.

Piano SeitaiE’ la Osei laterale a parlare:

Questo ritmo deve avere il valore sonoro di uno sfondo di paesaggio triste e ghiacciato.

 I pianisti dell’Impossibile

“Da quella strana creatura che è, il pianoforte è uno strumento parecchio ingegnoso. Infatti, in realtà in un piano non dovrebbe funzionare un bel niente. Voglio dire che hai un mucchio di materiali incompatibili – materiali che non hanno niente a che vedere l’uno con l’altro – ferro, legno e feltro. Sono tutti materiali in conflitto fra loro ma, ovviamente, la fantasia Occidentale ha creato l’illusione che siano perfettamente armoniosi.”

Mai immaginereste che l’autore di questa citazione altri non sia che un manager della Steinway & Son’s, David Rubin. Tuttavia ha centrato in pieno il problema e l’essenza dello strumento, figlio della rivoluzione industriale, diffuso un tempo come potrebbero esserlo oggi i dispositivi elettronici.

Il pianoforte è fondamentalmente uno strumento strutturale f-e; ne è una prova il vibrato: realizzabile persino su un tamburo, è impossibile al pianoforte. Corde tese da un estremo all’altro, movimento unidirezionale del martelletto, se non ci fosse il pedale e un poco di feltro, non avrebbe neanche la dimensione timbrica e il controllo della dinamica. E abbiamo già un primo ritratto del pianista: colui che sa gestire una mancanza e colmare un vuoto. La regione circolare e i suoi due profeti: Beethoven (circolare periferico, movimento di torsione) e Scriabin (circolare statico, movimento multiradiale) – è quella che più risente dei limiti del pianoforte.

Eppure, essendo la creatività umana molto flessibile… c’è chi ci ha provato:

  • Mozart per primo, grazie alla sua capacità di immaginazione (dando l’illusione che la musica cominci prima che il pianista tocchi la tastiera ed integrando il silenzio in partitura) e grazie all’entusiasmo che dimostrò verso l’allora neonato strumento;
  • Schumann, ben presto spaventandosi di ciò che stava scoprendo, cioè che la pulsazione interna e esterna non coincidevano! (Del resto le Variazioni su un tema di Beethoven sono… sparite, e gli Studi Sinfonici sono la storia di un rimaneggiamento continuo);
  • e… Musorskji, l’unico veramente in grado di dare forma in modo creativo a qualcosa di impossibile.

Ci riesce alla grande. Volete un esempio?  In questo passo, trasferendo tutto alla zona penultima/base, otterrete un effetto di legato sorprendente!

Piano SeitaiUna mappa per sintetizzare

Sono arrivato a queste conclusioni esclusivamente leggendo io stesso questi autori alla tastiera e rendendomi conto che sempre – a livello visivo – le loro scritture pianistiche sempre combacino.

Potete scambiare una partitura di Bach con una di Rachmaninov e fare un bello scherzo al vostro insegnante, la scrittura di Debussy, Fazil Say, Franz Schubert è sempre bella da vedersi e molto pulita, quella di Liszt, Chopin, estremamente funzionale (un plauso alle Nuove Edizioni con la scrittura autografa del maestro Polacco…).

Del resto – e sono stato io il primo a sorprendermi – il mio articolo Minicorso di lettura della partitura ad uso dei pianisti, che trovate nel Magazine, è da sempre uno dei più letti…

Ma soprattutto questa mappa di sintesi vi sarà utile a livello motorio e digitale: si creano dei binari assolutamente facilitanti, delle linee di treno ad alta velocità che faciliteranno in modo sorprendente lo studio e l’organizzazione del repertorio o del programma da concerto se sei un professionista, o la linea da seguire per un allievo se sei un insegnante di pianoforte.

[vc_message message_box_color=”orange”]Osei verticale

  1. S. Bach, Rachmanivov, Czerny.

Osei frontale

Clementi, Chopin, Liszt, Ravel, D. Scarlatti.

Osei laterale

Rameau, Schubert, Debussy, Brahms, Fazil Say, Rossini, Scott Joplin, Godowsky, M. A. Hamelin.

Osei rotatoria

Beethoven, Prokofiev, Villa Lobos, Szimanowsky, Alkan.

Osei centrale

G. F. Handel, Schumann, Scriabin, Mozart, Musorskji, K. Jarrett (trascritto).[/vc_message]

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e a marzo 2017 il rivoluzionario e-book Seitai al pianoforte, disponibile su Amazon.