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Per naturalezza, noi italiani sappiamo funzionare pienamente solo quando abbiamo accumulato abbastanza energia emozionale; il problema è che non sappiamo ancora gestire quando e quanto sia… abbastanza.

L’unità d’Italia più che un momento storico e politico è stato il primo momento di riconoscimento collettivo del nostro funzionamento vitale, ma… ha gli stessi anni della Steinway & Sons! Oggigiorno Fabbrini festeggia il duecentesimo D-274, l’unità d’Italia non la festeggia più nessuno. Tutti i momenti dove gli italiani hanno incontrato l’italianità sono scritti nella storia dell’umanità: l’eroico salvataggio dell’Andrea Doria, i successi sportivi, il coraggio di Dorando Pietri, la costruzione dell’autostrada del sole in una manciata di anni. Mentre quelli di inerzia sono invece la storia che conosciamo meglio e nei quali ci identifichiamo.

L’osservazione seitai in questo senso è chiarissima: se la osei laterale non è soddisfatta, devia la tensione verso quella verticale e rotatoria: la Germania le ha entrambe. Ecco quindi il ritratto del mondo pianistico italiano: veste panni non suoi, seriosi e accademici, titoli e gerarchia soffocano merito ed entusiasmo, non mette in discussione Bach e Beethoven, i grandi interpreti tedeschi, la tecnica del peso e del rilassamento, perfetta per chi si sa tener su verticalmente, inutile e controproducente per chi tende a bilanciarsi lateralmente. E proprio quando è un Italiano a scoprire che in realtà neanche i tedeschi comprendono il loro beniamino, perché il nucleo vitale Beethoveniano è nell’improvvisazione e non nella partitura fissata sulla carta (e lo dimostra pure con lo studio rigoroso e artigianale come solo un Italiano sa fare, di un’infinità di frammenti, annotazioni e sperimentali esercizi pianistici)… al posto di sentire la notizia al telegiornale e vedere  docenti di pianoforte correre in libreria, il libro, uscito in Italia nel 2014 è in libreria in Spagna dal… 2010! 

Quando un italiano (capita spesso), ha qualche buona intuizione, come andare in India dalla parte opposta di Marco Polo, il telefono, il pianoforte, corre sempre il rischio, proprio a causa dell’inerzia, di vederla o rubata o disattesa.

Quattro cose che il pianista italiano non conosce… di se stesso

L’italianità è un mistero soprattutto per noi stessi: vediamo di svelarla.

La coordinazione laterale può portare ad un virtuosismo straordinario. Chiunque sa che siamo avversari temibili ai mondiali di calcio, ma che dipenderà… dalla luna che avremo. Lo stesso è per il pianoforte ma non lo sa nessuno.  Ascoltai una volta Maurizio Pollini suonare dal vivo il 25 – 11 di Chopin più o meno 5 tacche di metronomo in più, con una carica emozionale da far paura: è l’italianità che per una volta ha fatto capolino, peccato che in questo grande pianista non sia una costante. Vidusso ha più volte suonato concerti a memoria che… si era letto in camerino poco prima! Sergio Fiorentino, per provare lo strumento, suonava quattro programmi e niente di quello che aveva in serata! Il virtuosismo italiano non si manifesta in modo qualunque, ma in una forma che vediamo – solo per avere un’idea – in virtuosi come Marc-Andrè Hamelin, Leopold Godowsky e… Lang Lang (se non vi basta, siete autorizzati ad andare a studiare all’estero), facilità digitale sconcertante e ai limiti dell’impossibile. Ogni studente potrebbe uscire dal conservatorio con quell’abilità, se ci fidassimo di come siamo fatti!

Siamo predisposti alla lettura a prima vista: la prova delle tre ore all’ottavo è assolutamente inutile. Converrebbe più semplicemente ricordare che ne siamo capaci. Perché? La lettura a prima vista è competenza della osei laterale, porta a vedere la musica.

Possiamo suonare Schubert e Debussy meglio di tedeschi e francesi. Perché ci ostiniamo a suonare Bach e Beethoven ? Perché il concorso più prestigioso è… a Bolzano? Siamo comunicatori, il concorso – terreno della competizione – poco si presta alla nostra natura. Accadono cose più interessanti nei festival…

Infine non dovremmo dissociare l’aspetto creativo. Ogni pianista italiano, per la sua salute mentale, dovrebbe praticare l’arrangiamento e la composizione – è parte integrante dell’apprendistato tecnico – senza complicarsi la vita, ma andando a cercare qualità sopite. Vi guidi il pensare alla facilità con cui scriviamo musica da film.

Nino Rota fu chiamato in causa per plagio. Dopo un lungo dibattimento scoprirono che il brano in questione l’aveva scritto lui trent’anni prima: aveva quindi plagiato… se stesso. Ma il contesto in cui si trovavano le due melodie incriminate erano assolutamente diversi e funzionali. Non a caso Rota era anche un pianista straordinario. 

 

A partire da Busoni

(se non consideriamo Verdi che ebbe l’infelice idea di tentare l’ammissione al conservatorio proprio come… pianista!), il pianista italiano quindi o rinnega o disconosce l’italianità presentandosi sotto mentite spoglie prussiane. La storia di molti pianisti è spesso accompagnata da un malvissuto con la propria terra. Una per tutte quella di Arturo Benedetti Michelangeli: faro per una generazione intera di pianisti, organizzatore di un’accademia dove era lui stesso a fornire e pagare gli strumenti, finisce i propri anni come esule volontario in Svizzera. L’ultima volta che calcò il suolo italiano fu per andare… in Vaticano! Pollini nel pieno della sua maturità incide ancora Beethoven per la Deutsche e Andrea Bacchetti (un geniale pianista che si sta seriamente interrogando sulla propria identità nazionale) va come un profeta in Giappone a suonare le Goldberg.

E se il problema fosse che l’italianità non la sappiamo ancora riconoscere?

Giulio Carlo Argan fu contattato dal Duce in persona perché voleva cambiare il nome a importanti piazze Italiane, a partire da piazza Cordusio a Milano ed esigeva una sua opinione. Inorridito dalla prospettiva di un simile scempio propagandistico, ma conscio di chi aveva di fronte, Argan agì in un modo sorprendente che ci fa capire cosa è l’italianità. Mentendo spudoratamente, rispose in modo tempestivo: “Penso non sia conveniente farlo, perché Cordusio significa… cor ducis, cuore del duce.” La bella piazza è ancora lì con il suo nome.

Come uscirne?

 

Capire come siamo fatti è già metà dell’opera. Imparare a riconoscere ed esprimere i bisogni più profondi l’altra metà.



Giuseppe Martucci, al posto di inginocchiarsi davanti a Brahms, lo inviterebbe in trattoria (diamine, è a Bologna!),
 i cantanti esigerebbero come pianisti accompagnatori solo italiani. Agenzie di comunicazione, Talent Scout, tanti Imola, fantastici festival, fiorirebbero in ogni città, senza preoccuparsi se ci sia vicino un aeroporto, registrare gli studi di Chopin su un pianino verticale, in una serata tra amici – come fece Dino Ciani – diventerebbe normale, Enrico Pieranunzi non sarebbe l’unico a dare poesia al jazz e a improvvisare sulle sonate di Scarlatti.


Riconoscendo che la nostra creatività favori
scsempre la comunicazione, daremmo sfogo alla più sconcertante innovazione. 

I pianisti in Italia si stanno finalmente risvegliando. Vi faccio tre nomi: Giovanni Bellucci, Roberto Plano, Maurizio Baglini, un mistico, un cantore, un narratore. Cosa li accomuna? Per la prima volta, sono pianisti italiani. Vivere appieno la linfa genetica italiana permette a questi pianisti non solo di essere al passo coi tempi, ma di sfuggire alla prussianità e al complesso di inferiorità all’inerzia soggiacenti. Baglini è allo stesso tempo anche straordinario camerista e profondo e attento indagatore. Il bisogno naturale di comunicare e interconnettere lo vediamo anche nell’andarsi a cercare tutte le composizioni perdute di Musorskij – cosa che fa anche Roberto Plano – quando riporta alla luce Andrea Luchesi, e nello stesso tempo suona Kara Toprak come bis. Bellucci ha il dono “Italiano” – più o meno come Michelangelo buonarroti – di saper comunicare con l’anima profonda delle cose; per questo sa trascendere il virtuosismo, e rivelarci l’anima di Liszt.

Scriabin come non avete mai sentito né mai più sentirete. Sotto le dita di un pianista… Italiano cantano anche gli smorzatori!

Un pianista miracoloso: talmente “italiano” che la tecnica diventa humus del processo creativo. Non a caso oggi Gianluca Cascioli è un valente compositore.

Ascoltate cosa diventa il finale della tempesta di Beethoven

Vanessa Benelli Mosell ha una padronanza della tastiera che farebbe impallidire Yuja Wang e Lang Lang messi insieme. Ci ritroviamo su quanto vi ho detto sulle possibilità tecniche del pianista Italiano? Eppure questa bravissima pianista non è ancora allineata con le sue radici. Il repertorio tedesco è alla base delle sue sicurezze. Eccola mentre cerca di “far cantare” Stravinskji.

Quando troverà l’italianità avremo una nuova fioritura e una pianista che lascerà un segno che andrà oltre l’ammirazione per le sue qualità. E spero scompaia quell’inquietudine che leggo nei suoi occhi…

Per voi che seguite questo magazine e siete ormai abituati al mio linguaggio, apprezzerete, in ciascuno, il nostro gesto pianistico più caratteristico: quello di respirare adagiandoci su di un lato…

Noi italiani funzioniamo – da molto tempo prima che esistesse facebook – a base di mi piace, non mi piace; dovremmo imparare ad avere il coraggio di dire non mi piace, senza temere la solitudine, l’esclusione, l’isolamento, non potersi godere la vita…

Ci sono oggi in Italia molti giovani talenti pianistici: il mio augurio per loro è che sappiano anche… orientarsi.

 

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e a marzo 2017 il rivoluzionario e-book Seitai al pianoforte, disponibile su Amazon.