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Esistono due tipi di diteggiatura:

  1. quelle che compensano l’incapacità di trillare
  2. quelle che trillano veramente

Le prime sono ovviamente le più numerose e le più insidiose a livello di credenza popolare, perché partono dal presupposto che le dita più mobili siano 2 e 3 (indice e medio), quelle che utilizziamo per portare il cibo alla bocca. In realtà il pianista evoluto (basta osservare il calco della mano di Chopin) presenta un maggior sviluppo muscolare nella zona di anulare e mignolo (dita 4 e 5).

Mi dispiace ammetterlo, ma i creatori di pessime diteggiature compensative sono proprio i revisori italiani. Mossi da buone intenzioni hanno però complicato la vita a generazioni di pianisti perché (in Italia abbiamo una predisposizione laterale) pensano che il pianoforte si diteggi con 2 e 3. Dove non è possibile (in Bach e Beethoven sempre), al posto di indagare il problema, si preferisce ingaggiare complicate aperture scacchistiche. Non da meno, con un atteggiamento diametralmente opposto, i tedeschi: “Arrangiati… è un Urtext!”.
Le seconde non richiedono trucchi o combinazioni astruse; si realizzano direttamente con le dita che servono per soddisfare il contesto.

Potremmo dividerle – solo per avere un’idea generale – in

cantanti (o di “coloratura”, rubando un termine tecnico vocale): 2 3 e 3 2 (parte del polpastrello dal lato di 2); i trilli di Schubert e Debussy. Di Brahms solo se vi coordinate a partire dall’indice della mano sinistra.
Lo potete osservare in azione nei meravigliosi ornamenti che intreccia Grigory Sokolov quando suona Rameau;

 

Lo potete esercitare nei più bei trilli cantanti che io conosca:

  1. strutturali (quelle che utilizzano il 3 come asse, 1 3 , 1 3, (in combinazione con 2 polpastrello dal lato di 1), 2 3, 3 5, 2 4 ecc.: il trillo di Bach,  Scarlatti e, perché no, di Prokofiev;
  2. audioregolatrici  (o “ordinatrici del suono” 3 4 e 4 5): il trillo Beethoveniano, che chiarisce e definisce il suono;
  3. centripete (4 5): il trillo di Mozart  (come dovrebbe essere…), di Scriabin, Schumann, i trilli dell’op. 35 di Chopin (trio dello scherzo e marcia funebre).

Un’altra credenza popolare esige di diteggiare il trillo in modo combinato (1323, 1313 ecc.) quando questo è di lunga durata. Se invece è vostra cura e attenzione quella di mantenere la mano nella regione f-e senza cambiare diteggiatura o adottarne una compensativa, saranno il braccio e la mano stessa a compiere – in forma automatica – i necessari autoaggiustamenti (da 2:25 un gustoso esempio…).

https://www.youtube.com/watch?v=BTJ3kmHF7Jc

Nel mio primo libro Non manuale per il pianista, analizzai approfonditamente una delle diteggiature da trillo più famose: quello lunghissimo del rondò della Waldstein, per scoprire una cosa sbalorditiva: il motore del trillo (le macchine tedesche sono a trazione posteriore)  è in realtà l’anulare della sinistra!
Beethoven non è Chopin per cui, quello che vale per la Waldstein, vale per tutto quello che ha scritto, dal mordente della prima sonata, al trillo sull’infinito dell’Arietta della 111.

Vi indico – con il colore dedicato alla osei rotatoria – la trazione posteriore: sempre la sinistra, sempre l’anulare (e lato interno del mignolo, ovviamente).

 

Vale la pena di esercitare il trillo sul piano verticale piuttosto che un coda perché – con il doppio scappamento – pensare al trillo come un problema è veramente fuori luogo. Spero infine, con quanto scritto, di aver fatto comprendere al lettore ciò che è essenziale: cogliere il particolare, con l’entusiasmo della ricerca e la gioia della scoperta.

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e di prossima pubblicazione su Amazon, il rivoluzionario Seitai al pianoforte - suonare con i 5 movimenti. Il Seitai spiegato allo studente di pianoforte, ad uso dei Conservatori e Civiche Scuole di Musica.