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Sono particolarmente affezionato alle Brahms-Paganini per un semplice fatto: da ragazzino le ascoltai talmente a lungo (nella storica interpretazione di Arturo Benedetti Michelangeli) da farmi venire la febbre (anche se mia madre insisteva nel dire che avevo preso freddo). Ancora non potevo sapere (ma il mio corpo si), che mi ero fatto un “bagno” nella mia emozionalità introvertita: un bagno appagante.

 

brahms_paganini_freccia

Oggi come oggi, non sempre ho il desiderio di ascoltare Brahms – mi sembra troppo “patinato” – salvo in questi particolari momenti di bisogno di introversione e quindi a livello pianistico non ho mai osato studiare le Brahms-Paganini per una sorta di timor sacro e perché non ero più su quell’onda, ma all’alba dei 49 anni non ho resistito alla tentazione:

ho di fronte a me un brano “virtuosistico” – non nel senso Lisztiano, dove bisogna “accendere” la perfetta coordinazione f-e (e basta) – nelle Brahms-Paganini (e ancora di più nel Secondo Concerto per pianoforte) siamo di fronte ad un virtuosismo dall’unica soluzione tecnica possibile: quella timbrica.

Mi spiego meglio:

chi trova difficoltà – arenandosi – nella spigolosità tecnica, è perché non coglie (o non rimane gratificato), il timbro che produce sulla tastiera.

Questa variazione – per esempio – comincia a funzionare tecnicamente quando si crea una certa frizione timbrica (gratificante) nei punti indicati, piuttosto che cercando la logica dei salti.

Stessa cosa nella variazione 6.

Condizione che in realtà percorre tutta l’op. 35:

Non pensare all’ottava…
Il “feroce” è quello in rosso…
Colora le acciaccature

Tentare di risolvere queste variazioni con una logica fe (gli estremi di 1 e 5 e il movimento avanti) rende impossibili questi pezzi. Se per puro caso vi vengono, per uno studio stakanovista, comunque il suono risulterà non controllabile.

Come testimonia questa variazione:

La tentazione f-e è di partire dall’ottava e cercare in qualche modo un movimento volontario per raggiungere la nota singola. Risultato: impazzite. Se invece cercate solamente la parte mediana (arcuando la mano come… per tenere una forchetta), questo movimento si crea da solo.

Provatelo però prima su un tavolo, solo dopo al pianoforte.

E come testimonia il famoso incontro-scontro tra Liszt e Brahms, quando l’ungherese partì in tromba leggendo a prima vista lo Scherzo op 4 per bloccarsi completamente dopo poche battute della Sonata op. 1 dell’amburghese. Per togliere dall’imbarazzo Liszt, qualcuno gli propose di suonare la neonata Sonata in si minore e Brahms ricambiò… addormentandosi.

Per questo – ma solo per alcuni pianisti – Brahms appare sgomentevole, anche perché la mascherata tecnica nasconde e dissimula la natura emozionale e timbrica. La vera difficoltà di queste variazioni sta proprio nel chiarire e chiarirsi il preciso ambito timbrico e bilaterale. Se questa coordinazione spontanea non è ancora maturata, è meglio posticipare lo studio di Brahms o prepararlo con il didatta Chopin: op. 10 n. 2, op. 25 n. 6 e 11, seconda ballata, preludio 12.

O il lavoro che ha compiuto Brahms su se stesso trascrivendosi per terze e seste l’op. 25 n. 2, e portando più consapevolezza alla mano sinistra invertendo le mani con l’impromptu di Schubert e con la Ciaccona di Bach per la mano sinistra. O meglio ancora, i suoi 51 esercizi: : sequenze di media astrusità da trasportare in tutte le tonalità e per tutta la tastiera: un vero e proprio allenamento “timbrico” più che digitale!

Ne sono anche testimonianza le pagine che si leggono nei forum dei pianisti. Frasi come: “cambia pezzo”, “sono stata obbligata a studiarle”, “roba da maciullare le mani!” “non le consiglierei al mio peggior nemico” e così via sono all’ordine del giorno. Questo accade quando la propria sensibilità corporea non è in linea con quella di Brahms e non si sa come fare per strutturarla.

Un altro equivoco è che abbiamo l’idea di timbro come qualcosa di bello e piacevole. Non è il caso di Brahms, uomo apparentemente burbero ma dalla profonda emozionalità introvertita. Un uomo che – di fronte a tre scelte – è la quarta che vuole, senza che nessuno riesca a capirlo e senza che riesca a manifestarne il bisogno. Il timbro, in Brahms, bisogna trovarlo a colpi di scalpello. E le Brahms-Paganini ne sono l’esempio migliore: granito grezzo fuori, diamanti puri, dentro..

Per orientarci, vediamo qualche consiglio pratico:
  1. se flettete in un certo modo il braccio, la mano si muoverà parallela al ventre;
  2. posizionatela quindi sulla tastiera: vedrete che la zona del secondo dito è più alta;
  3. in questa posizione il movimento trasversale della tastiera non richiede movimenti aggiuntivi o stress: si compie da sé (ma provatelo prima su un tavolino…);
  4. se avete cura di mantenere tale posizione, (f-e per mantenere il secondo dito esposto) permetterete al movimento volontario di attivare quello involontario che è circolare e sposta l’energia sul quarto e quinto dito (parte interna);
  5. la prima e seconda variazione del primo libro e la prima del secondo, sono volgari esercizi (roba da C. L. Hanon) e quindi vi ingannano perché a nessun pianista verrà mai in mente di cercarne il timbro, perdendosi dunque nell’apparente difficoltà tecnica. Se lo fate – anche se non rispecchia la vostra sensibilità – le quattro condizioni precedenti cominceranno a crearsi;
  6. Brahms non era Schubert né Debussy; cercate pure un timbro ruvido e legnoso (come diceva Wagner di Brahms);
  7. In Brahms la mano che guida è sempre la sinistra; dovete farla dialogare con la destra;
  8. In Brahms le dita che guidano il movimento sono sempre 3 e 2;
  9. Brahms è sempre povero di suoni acuti; dovrete risvegliarli proiettando il suono verso l’alto grazie al maggior lavoro della mano sinistra;
  10. Trovare il punto zero (il movimento totalmente senza sforzo della parte mediana);
  11. Non studiatele se non ne sentite il desiderio, senza però fare come me che ho aspettato più o meno 49 anni;
  12. Non seguite per forza l’ordine scritto da Brahms per studiarle: una variazione potrebbe chiarirne un’altra;
  13. Orientatevi, per quanto potete organizzando il movimento del corpo – e prima del movimento delle braccia – oscillando tra destra e sinistra; non avanti se no, fate la fine di Liszt e come intuisce “corporalmente” questo geniale pianista del passato.
Preparazione alternativa:
  1. Chiudetevi in una stanza buia senza pianoforte per due giorni ascoltando Lucio Battisti;
  2. tenete per una settimana la spalla sinistra alzata;
  3. tenete una foto di Brahms a scelta nel portafoglio.
 

4.  Se suonate questa variazione con la spalla sinistra alzata

non incontrerete troppi problemi: per “tirarla su” incupitevi.

 

Questo è il miglior esercizio per imparare a trillare in condizioni non agevoli (3-4, 4-5) che conosca:

 

Però è sempre Brahms. Se il pianista si concentra solo sul trillo, la sinistra presenterà sempre sbavature-indecisioni-scarsa presenza timbrica e il trillo risulterà forzato-poco musicale-troppo regolare-accentato-troppo breve. Fate invece questo esperimento al contrario: lasciate che sia la mano sinistra a guidare tutto il movimento, sincronizzandosi con la destra: il trillo verrà da solo. Se ascoltate l’esecuzione successiva di Fazil Say, sentirete addirittura un trillo continuo…

Se studiate questa variazione a mani separate, rimarrete sconfortati per la loro banalità…

Ergo, Brahms non va studiato a mani separate, quanto maturando la totale interdipendenza bilaterale tra due parti del corpo e la sincronizzazione tra le due mani.

Vi dicevo nel consiglio pratico 7, che la mano sinistra – nella musica pianistica di Brahms – è la mano che guida. Ne abbiamo la prova in questa variazione: se non accendete con la sinistra il timbro, gli accordi della destra vi deluderanno al punto tale da inibire lo studio di questa variazione. Fazil Say, addirittura, per non perdere l’energia timbrica, collega questa alla precedente.

Osserviamo insieme ora, i pianisti professionisti.

Francesco Libetta è un pianista eccezionale: tra i pianisti dell’impossibile, tra i pochi che riescono ad eseguire gli Studi sopra gli Studi di Chopin di Godowski, eppure… perché è così titubante di fronte a queste Brahms-Paganini a punto tale da sembrare un diplomando all’esame?La risposta è nella qualità di sensibilità di Libetta che è di tipo frontale, ovvero attento e stimolato solo dal movimento delle masse sonore e dal loro contrasto di tensione-distensione, che in Brahms sono praticamente inesistenti. La zona del secondo dito non la espone e il movimento delle seste (nella prima e seconda variazione) risulta forzato. Cosa che non accade né in Fazil Say né tantomento in Julius Katchen: le seste si muovono da sole.

Quindi la soluzione tecnica è solo nella ricerca timbrica, come testimonia questa straordinaria interpretazione di Fazil Say: la migliore possibile. Non perché sia più bravo degli altri pianisti ma perché – per affinità naturale – risolve e traduce le difficoltà tecniche in timbro. Per lui non ci sono passaggi di seste ardui, ottave cieche, salti, ma musica.Siete curiosi di sentire come le avrebbe eseguite Brahms in persona? L’interpretazione più vicina possibile all’autore.

Un pianista perfettamente predisposto a livello di coordinazione corporea per le Brahms-Paganini che trovate a 31:57:

Un pianista che le Brahms-Paganini le berrebbe come acqua fresca, non si accontenta di quelle originali e ne crea di sue… Ottimo da osservare per imparare: nella seconda variazione (00:49) il movimento trasversale del braccio a partire dalla coordinazione bilaterale.

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e di prossima pubblicazione su Amazon, il rivoluzionario Seitai al pianoforte - suonare con i 5 movimenti. Il Seitai spiegato allo studente di pianoforte, ad uso dei Conservatori e Civiche Scuole di Musica.