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Questo articolo, dell’ormai lontanissimo 2012

nacque per approfondire i temi del mio Non Manuale per il Pianista, pubblicato l’anno prima. Un libro che portavà in sé i semi di tutto un lavoro di approfondimento che sarebbe cresciuto nel tempo e avrebbe creato le fondamenta per un pianismo nuovo. Oggi tale lavoro è culminato nel mio nuovo Quaderno di Tecnica Pianistica sulla DiteggiaturaViva.

Sorrido rileggendo queste pagine, e spero con me il lettore, rendendomi conto di quanto le cose siano cambiate e arricchite della impagabile prospettiva della profondità.

 

 

Mi rendo perfettamente conto che la diteggiatura è un argomento delicato, uno dei capisaldi sacri dell’apprendimento pianistico, tuttavia è necessario mettere ordine anche in questo campo: in questo articolo cercherò di stabilire dei nuovi parametri alla luce della naturalezza del movimento umano e dello schema osei.

Dare troppo retta alla diteggiatura è come guidare la macchina tenendo conto solamente dei segnali stradali: si perde il proprio ritmo di guida, non si è preparati agli imprevisti, si perde il gusto del viaggio. Senza contare che possono esserci segnali obsoleti, sbagliati, eccessivamente complicati.


Un grande didatta del pianoforte come Chopin era il primo a sostenere che la diteggiatura vera non sempre è quella più comoda, è quella che trovano le dita e non il pedale e offrire pochissimi spunti di diteggiatura se non quando necessario: ma qual’è la realtà dei pianisti di oggi?

Ricordo un concerto di Maurizio Pollini a Roma con in programma tutto il primo libro del Clavicembalo ben Temperato; sparsa per la sala c’era una legione di studenti, partitura alla mano, pronta a segnare ogni dito e ogni pedale: mi son sempre chiesto se  hanno mai apprezzato quel concerto.

Quante sono le dita?

Le dita sono 10×10, perché quello che sfugge alla scienza della diteggiatura (mentre è realtà quotidiana per il pianista) è che a guidare e ordinare la mano è solo un dito alla volta, a seconda della coordinazione che si sta incanalando in quel preciso momento.Dieci modalità percettive, energetico-motorio-psichiche, ognuna a capo di un dito soltanto, per dieci dita fa… 10×10; non pensate anche voi che sia ora di rivedere le regole della diteggiatura?Cominciamo con un esempio: il dito 2, l’indice, sulla carta è sempre scritto come 2.Tuttavia, se a guidare la mano è il mignolo, il dito 2 avrà un funzionamento particolare ad esso subordinato

come nell’atto di indicare o quando – senza che ce ne rendiamo conto – stiamo facendo qualsiasi lavoro pratico; potete comprovarlo in qualsiasi momento.


E’ il caso della Toccata dalla Sonata Sesta di Paradisi che presenta un dinamismo interno inusuale per l’epoca e che può benissimo essere utilizzata come studio preparatorio per lo Studio op. 10 n. 1 di Chopin: richiede quindi le precedenti condizioni di funzionamento della mano. Potete già vedere sulla carta l’enorme divario tra la diteggiatura proposta e la funzione reale ed effettiva del dito 2 segnato in verde nell’esempio; siamo in presenza di una diteggiatura clavicembalistica che – vista la bidimensionalità di questo strumento – non potrà mai rendere sul pianoforte. Se il pianista non comprende queste leggi e si ostina a studiare con una diteggiatura non in linea con il movimento sarà maggiormente esposto – in condizioni di stress, o una volta automatizzato il pezzo – a commettere errori, perché la diteggiatura non è più fisiologica e propriocettiva.

Tutt’altra cosa è se invece lo stesso dito 2 ha un’altra funzione: quella di guidare tutto il movimento come nell’atto di portare il cibo alla bocca:

ciò per garantire la caratteristica dolcezza e gradevolezza della sua musica; la diteggiatura ha il dovere di esaltare la sua predominanza nel movimento…

…ma non è il caso di questa che vedete proposta nell’esempio.

Se vi mettete alla tastiera e vi sforzate a suonare con la maggior regolarità possibile una sequenza di 5 note, vedrete che il dito 3 ha un funzionamento statico; appena decidete di animare quella sequenza, vedrete che lo stesso dito 3 diventa attivo. Sulla carta, però si scriverà sempre 3.

La diteggiatura
̬ quindi solo bidimensionale: non comprende Рper fare un altro esempio Рi movimenti autoriflessi della mano.

Il movimento dell’essere umano vivo è un insieme di movimenti volontari e involontari naturalmente associati. La tecnica pianistica prende poco in considerazione questa realtà (se non con un misterioso e poco definito rilassamento per trasferire il peso), la diteggiatura men che meno: risente in maniera critica delle lacune a livello tecnico.

Anche il passaggio del pollice è un movimento autoriflesso e non è mai molto conveniente segnarlo a tutti i costi sulla carta: dovrebbe cercarlo il pianista, in base alla sua capacità di coordinazione.

Vi faccio un esempio: la caratteristica di questo passo dello Scherzo Op. 31 di Chopin ̬ una delicatezza fluida: la zona del dito 2 deve restare esposta. Invece la diteggiatura di questo revisore Рche si preoccupa troppo di segnalare il passaggio del pollice Рa partire dalla seconda misura occulta il movimento del dito 2 obbligando il pianista a cercare una morbidezza di tocco costruita e non connaturata nel movimento stesso della mano

sarebbe meglio 212432, 412432, ovvero ciò che serve per mantenere più in alto la zona del secondo dito e garantirsi un tocco fluido nello spostamento trasversale.

Anche il trillo è fatto di un dito in piano f-e e l’altro che funziona in modo autoriflesso a seconda del suono da ottenere: pensate però alla mania di certi “diteggiatori” di indicare tutte le note del trillo togliendo il sonno ai giovani pianisti! Meno male che oggi si utilizzano le edizioni Urtext!

Suggerimenti perversi per il trillo del rondò della Waldstein

Chopin – come vedrete dopo – scoprirà il movimento autoriflesso del secondo dito (studi 10-1 e 25-5); è pericoloso indicarlo in diteggiatura finché non si comprende la sua interdipendenza con il movimento del mignolo.

Imparando a diteggiare con queste premesse, più sane e divertenti, non si perde il gesto pianistico, non si dovrà studiare ad un certo punto tutto da capo perché il pezzo non tiene la velocità, si potrà creare un binario sicuro che favorirà in modo decisivo la memorizzazione.

Spesso le diteggiature – ignorando la realtà spontanea del corpo – dimenticano di risvegliare la mano:

F. Chopin Sonata op. 35

le misure 5-8 servono per risvegliare la mano e portarla verso la coordinazione voluta da Chopin: quella rotatoria passiva, dove a guidare sono il dito 4 e la parte interna di 5; comprendo la buona fede del diteggiatore, che frammenta la diteggiatura per permettere al pianista di cesellare il tema. Però facendo così impone il proprio sentito interpretativo, non permette al pianista di trovare la propria strada, ignora il sentito originario Chopiniano.
Quindi, considerando il dito 4 (con 5 contiguo) come un sole, vediamo come si dispongono gli altri pianeti (le altre dita): 42 Р342, 42 Р342, 42 Р135, 51 Р342 ecc. Questo ̬ quello che fa la mia mano, ma ogni pianista dovrebbe fare lo stesso lavoro con la propria.

La diteggiatura non sempre
tiene in considerazione il cambio di funzione della mano: un esempio è – sempre intuito da Chopin – il passaggio tra lo studio op. 25 n. 2 e il successivo, che andrebbero eseguiti senza interruzione (come suggerisce Louis Lortie nelle sue conversazioni su Chopin): il tasto è lo stesso, la funzione completamente diversa.

Quindi il passaggio da 4 a 2 è un cambiamento globale di assetto della mano

Spesso la funzione precisa viene definita da “dita isolate” all’inizio di un pezzo: la diteggiatura deve essere estremamente precisa e funzionale, altrimenti è come passare un sonaglino a un chirurgo al posto del bisturi!

L’inizio della Waldstein, per esempio: solo il dito 4 può accendere suono e ritmo

Perfetto il 4 che prepara il lato interno del 5, protagonista dello studio

F. Chopin Studio op. 25 n. 1




Eccovi dunque la mappa

 

che vi permetterà di penetrare i misteri della diteggiatura (lasciando 1 per pollice, 2 l’indice, 3 il medio, 4 l’anulare, 5 il mignolo).

A seconda della coordinazione incanalata:

  • verticale: tutte le dita funzionano uniformemente, grazie a 1 e 5 con 3 (presente ma non attivato, fa da rappresentante del sistema nervoso centrale nelle braccia);
  • frontale: tutte le dita funzionano regolarmente, 1 e 5 (parte esterna) fanno conto su 3; se il movimento è + (attivo), il dito che guida la mano è 5, se il movimento è – (passivo), il dito che guida la mano è 1;
  • laterale: se +, il dito che guida è il 2, se -, il dito 3;
  • rotatoria: se +, dito 4, se -, dito 5;
  • centrale: parti interne del dito 5 che lavorano insieme.

 

Diteggiatura in e per la coordinazione verticale:

Una linea medulare che non mostra la sua presenza

Le braccia non hanno un asse medulare paragonabile a quello della colonna vertebrale (l’asse sistema nervoso-midollo spinale). Però la loro formazione può contare su una certa linea medulare: non mostra la sua presenza concreta però percorre ogni braccio fino al centro del terzo dito.

Per garantire l’assoluta regolarità e una distribuzione equanime della forza tra le dita, la mano deve definire tre linee, la medulare appena citata e quelle che vanno alle dita 1 e 5.

Per una sorta di miracolo della naturalezza trovate questo funzionamento perfettamente rispecchiato nel primo preludio del WTC1

 

La prima nota – affidata alla mano sinistra – è come solo appoggiata (l’accento infatti – quando lo eseguite –  sembra cadere sulla seconda): è l’asse medulare, quasi sempre 3. Nella mano destra 1 e 5 si cercano, lasciando la linea del dito 3 immobile.

Il risultato? La totale uniformità e la coincidenza tra gesto, movimento pianistico e dita sulla tastiera.

Diteggiare Bach significa quindi non turbare mai queste condizioni naturali.

 

Conoscerle significa anche accorgersi delle anomalie nate da una mancata comprensione: C. L. Hanon – pace all’anima sua – nel suo Pianista Virtuoso, ignora tale funzionamento e in testa a questo esercizio trovo scritto, come una sorta di lapide:

Speciale esercitazione per dito 3, 4 e 5;


peccato che 345 non lavorino insieme, ma prima alla mano sinistra in tutta la sequenza ascendente dell’esercizio e solo dopo (discendendo) alla mano destra; così accade che il malcapitato neofita farà leva sulla mano destra per schiacciare le tre povere dita della sinistra e viceversa al ritorno;

se invece definite il piano verticale (1 e 5 con linea medulare) e gli estremi (che sono anche punta delle dita con braccio e polso con dita) non c’è da indicare più niente: il funzionamento regolare ed equanime delle dita è assicurato senza dover fortificare in modo speciale nessun dito. E come se non bastasse, mettendomi alla tastiera, alla destra mi viene il 3!

Quindi non ha senso, in un’esercitazione propedeutica – che ha il solo scopo di orientarvi sul funzionamento della mano – segnare tutte le dita. E’ poco professionale, come certe tastierine per bambini con i colori e i numeretti.

Converrebbe rieditarlo con il titolo La strana storia del signor H. o proporlo diteggiato così:

Torniamo a Bach e una volta trovati gli estremi abbiamo trovato anche le altre dita.

Una conferma a questa necessità di orientare la diteggiatura intorno alla definizione della verticalità della mano (1 e 5 con 3) la troviamo nella prassi strumentale dell’epoca di Bach: poco presenti erano i passaggi di pollice, o gli arpeggi che risvegliano la tastiera. Una siffatta impostazione permetteva il continuo lavoro di ornamentazione (trilli e abbellimenti), che il pianista e didatta Jura Margulis definisce come clusters localizzati.

Ritroviamo le stesse necessità più avanti nella storia – con Maurice Ravel, per esempio – che aveva le idee estremamente chiare sul pianoforte

M. Ravel concerto per le due mani

Un’ esaltazione portata all’estremo di queste particolari condizioni di coordinazione – che ne definisce la corretta diteggiatura – la trovate nello studio Op. 10 n. 4 di Chopin, un pezzo che ogni pianista dovrebbe ristudiare ogni volta che progredisce, perché imparerà sempre qualcosa. Il suo segreto è quello di mantenere sempre in equilibrio la mano trovando l’asse medulare: come trovare il punto di calma in una tempesta.

Ci sono pianisti, anche concertisti, che attaccandolo in modo troppo irruento arrivano a questo punto diteggiando così:

è come inserire un granello di sabbia in un meccanismo perfetto; quindi è sempre meglio andare a caccia degli estremi (le notine in azzurro): la diteggiatura filerà liscia come l’olio senza bisogno di trucchi.

Osservate anche – strano, non è vero? – come le stesse condizioni della mano, base per la sua diteggiatura, che abbiamo visto per Bach si ripresentino per… Rachmaninov;

la cosa ancora più stupefacente è che – prendendo a campione un estratto qualsiasi della sua letteratura pianistica – troverete sempre il dito 3 con una funzione medulare!

e vedere come tutto questo coincida con il modo di suonare dell’autore stesso!

Diteggiatura in coordinazione frontale:

Chopin – al pari di J. S. Bach – per la tastiera uno, per il pianoforte l’altro, riesce a incarnare il senso della diteggiatura direttamente nella musica.

Il Pensatore di Rodin ci fa vedere con estrema chiarezza come si presenta la mano, la sua specifica muscolatura e movimento quando è in coordinazione frontale: guidata a partire dalla parte esterna di 1 e 5;

del mignolo se + (attiva)

dal pollice se – (passiva),

 

quindi diteggiare Chopin significa vedere come e dove “cadono” più convenientemente le altre dita orbitanti intorno ad una sola, significa anche preoccuparsi soltanto di definire i bordi esterni.

Troviamo un buon esempio sempre nel 10-1:

La diteggiatura naturale è quella sopra, quella sotto – apparentemente facilitante – vi porterà fuori strada perché perderete la luminosità del suono pensato da Chopin, così come diteggiare con 24 13 24 13. Siamo in presenza di una prevaricazione da parte della diteggiatura. Per paura di non eseguire il passo, credendo che una mano piccola non possa eseguirlo, la diteggiatura vuole sostituirsi al gesto pianistico e alla realtà musicale e sonora.


Se invece vi fidate di Chopin e fate orbitare la mano intorno alla parte esterna del dito 5, vedrete il dito 2 funzionare come natura vuole (cioè subordinato al 5, come nel precedente esempio della Toccata di Paradisi)  e aprire lo squarcio – come scrisse Chopin.


Un altro esempio

di diteggiatura in coordinazione frontale lo troviamo con Liszt. Tutta la sua musica pianistica definisce il piano f-e, pertanto, nei passi più animati, si attiverà il bordo esterno delle mani.

La diteggiatura proposta in questa edizione,

non potendo intuire come sta realmente funzionando la mano, mette un cauto passaggio del pollice, che – alla velocità e soprattutto al suono voluto da Liszt – non reggerà se non innescando compromessi motori o, peggio ancora, costringendo il pianista a adattare la sua interpretazione. Quindi, se attiviamo i bordi esterni – possiamo (ed è l’unica soluzione possibile in questo contesto) permetterci questo:

Confermato da Liszt stesso subito dopo e a cui si arrende persino il revisore:


Diteggiatura in coordinazione
laterale:

la canalizzazione della coordinazione laterale avviene nel vostro corpo ogni volta che provate emozione mentre suonate, siete suggestionati dal timbro, dovete cercare un suono morbido e soave; diventa 
obbligatoria
 in presenza di autori che laterali erano per loro naturalezza. E’ il caso di Franz Schubert.

Il dito che ordina tutta la mano in queste condizioni di canalizzazione è il dito 2.

Siamo in presenza di un diteggiatore – in questo esempio – piuttosto confuso e indeciso. Ogni pianista che suoni soavemente utilizza la parte mediana del braccio e delle mani: la sua mano si incurva e per permettere il movimento trasversale sulla tastiera il segreto è mantenere esposta (ovvero più sporgente rispetto alle altre dita) la zona del dito 2.

Ecco allora che vi apparirà come per incanto la soluzione per diteggiare correttamente, in modo naturale e rispettoso sia della mano che dell’autore; una volta capito che è più conveniente – per garantire il movimento lungo la tastiera – lasciar sporgere il secondo dito, l’unica diteggiatura possibile è 2421, atterrando dolcemente sul bicordo con 23 contigui.
Diteggiare in questo modo significa utilizzare sempre la parte mediana (del corpo, del braccio, della mano, delle dita) evitando di complicarci la vita con diteggiature astruse su cui “appiccicare” la nostra interpretazione.

Anche Brahms
richiede una coordinazione laterale questa volta passiva; il dito che guida è il tre.

Un celebre brano non facile da diteggiare sono le sue Variazioni su un tema di Paganini Op. 35. Se cercate di diteggiarle tenendo conto del piano f-e – ovvero gli estremi di cui vi ho parlato prima – la maggior parte di queste variazioni non avrà soluzione se non con continue forzature. Il pianismo di Brahms non definisce tale piano perché dietro una veste tecnica tradizionale si nasconde l’anima emozionale del suo autore.
La diteggiatura corretta è quindi quella che lasci libera la contiguità tra 2 e 3.

Per le seste la diteggiatura è obbligata, ma per queste di Brahms basta non definire il piano f-e, utilizzandolo per tenere esposta la zona dell’indice; la stessa condizione che permetterà alla sinistra di avere spostamenti trasversali facilitati.

Fidatevi del buon amburghese e lasciate che a “guidare” sia il 3 della sinistra e a sua volta la mano sinistra a guidare la destra o… che diamine! Suonatele con un sigaro tra le dita senza lasciar cadere la cenere sulla tastiera!


Diteggiatura in coordinazione
rotatoria
:
 
Beethoven, per sua intima naturalezza, richiede una coordinazione rotatoria: la mano si orienta e gravita tutta intorno al dito 4.

Il dito 4 soffre ancora oggi di un immane pregiudizio: viene considerato un dito debole, quando in realtà è il dito più forte della mano; se non ci credete provate ad aprire un barattolo un pò duro: il dito che finalmente ve lo farà aprire è proprio l’anulare!

Inoltre è il dito che con maggiore facilità accende il suono.

Guardiamo insieme questa diteggiatura proposta da Henselt.

diteggiatura che non rispetta la coordinazione delle mani

Henselt era un ottimo pianista ma anche un uomo ossessionato dai problemi della tecnica. Notate come eviti accuratamente il quarto dito  nell’illusione di creare una diteggiatura più comoda. Ma che suono potrà mai venir fuori da una diteggiatura simile, che non offre all’anulare la libertà di ordinare la mano? Non di certo Beethoveniano!

Infatti, Beethoven stesso, parlando di uno studio di Cramer scrive:

“Um die erforderliche Bindung zu erzielen, hebt sich der Finger nicht eher von der ersten Note jeder Gruppe, bis die verte Note anzuschlagen ist.”

“Al fine di raggiungere la necessaria coordinazione delle dita, non bisogna lasciare la prima nota di ogni gruppo (di quattro) finché la quarta nota non è stata suonata”


Una lezione di piano

e di diteggiatura veramente geniale, che pone l’accento sulla suddivisione in cluster delle dita e che modella perfettamente tutta la Waldstein, e risolve i problemi di suono e diteggiatura dei finali dell’Appassionata e della Tempesta.

Se provate questa idea anche sullo studio op. 10 n. 12 di Chopin, verificherete che risolve tutti i passaggi più spinosi.

Verrebbe quasi la tentazione di generalizzare un’idea tanto acuta, solo che l’osservazione della naturalezza umana limita l’ambito: questa è solo la modalità di diteggiare quando le vostre braccia si stanno coordinando ritmicamente. Avendo questa particolare natura, per Beethoven era ovviamente l’unico modo possibile.

Tornando alla diteggiatura di Henselt, vedete con chiarezza che è impossibile creare questi clusters e il continuo passaggio del pollice definisce un ritmo completamente diverso.


Se orientiamo la mano intorno all’anulare, pronta a realizzare il crescendo, e rispettando l’organizzazione ritmica, che crea clusters a gruppi di quattro, la diteggiatura che viene è la seguente:

Nel caso di Chopin – come abbiamo visto per l’inizio della seconda sonata – la sua naturalezza pragmatica vi indica direttamente la zona che ordinerà la diteggiatura, per poi procedere esattamente come prescritto da Beethoven, perché è in atto una coordinazione rotatoria:

rotatoria passiva con 4 e 5 contigui. Per diteggiare tutto lo studio è conveniente attenersi a questa coordinazione di fondo (vedi Studio op. 10 n. 12).

Eccovi ora uno spettacolare esempio di come il dito 4 accenda e spenga il suono: la diteggiatura è finalmente “incarnata” nella musica.

Ma attenti a non diteggiare in f-e (apparentemente più comodo), vi perderete il controllo del suono!

F. Chopin: Ballata op. 23


Diteggiatura in coordinazione
centrale:

E’ il caso di tutto il pianismo di Scriabin, di molte cose di Chopin (tra cui il 25-1 e il finale della seconda sonata), Mozart e Schumann.

La mano è orientata e guidata dalla parte interna di entrambi i mignoli.

Condizioni da rispettare se volete diteggiare correttamente e salvaguardare il gesto pianistico.

Scriabin: Studio op. 42 n. 5

Il lavoro combinato dei due mignoli crea un effetto centripeto

Schumann Kreisleriana


Approfittiamo

della mai abbastanza decantata capacità didattica di Chopin per vedere come funziona esattamente il meccanismo:

le prime quattro misure lo preparano

F. Chopin: Sonata op. 35, finale

dalla quinta in poi siete dentro. L’unico fortissimo segnato da Chopin è per voi la cartina di tornasole per vedere se è correttamente eseguito: il crescendo dovrebbe avvenire senza il minimo sforzo.

Potete studiare tutto il finale per prendere confidenza con il movimento a partire dalle ultime nove misure: vi aiuteranno. Attaccate poi dall’inizio con l’idea di queste ultime e vedrete la mano muoversi nell’orbita del mignolo.

In questo caso particolare la diteggiatura che scriverete e memorizzerete dovrà coincidere con il vostro stesso movimento centrale, fidandovi delle dita e senza utilizzare il pedale.

Purtroppo sono ancora troppo pochi i pianisti che sanno eseguire questo fantastico (e istruttivo) brano.


Se invece decidete

di esplorare diversi approcci interpretativi, sappiate che la diteggiatura vi seguirà come un cagnolino fedele.

F. Chopin: Scherzo op. 31

Questa diteggiatura è perfetta e in linea con il sentito chopiniano: i due 3 “definiscono” la nota, le altre dita inducono a compattare la mano per trovare quella velocità necessaria per rendere questo famoso incipit che Chopin desiderava fosse “come una domanda“.

Ma…
se il pianista volesse renderlo “sonoro” – alla stregua di un drammatico incipit beethoveniano – avrà la necessità di coinvolgere il dito 4 – l’accendi suono per eccellenza – cambiando completamente la funzione delle altre dita

se invece non riesce a resistere a offrire dolcezza e cantabilità, dovrà dare spazio alla contiguità tra 2 e 3.

Tutto questo è naturale nel pianista maturo, tuttavia è un esempio necessario per capire come la diteggiatura dipenda da condizioni interne imprescindibili, in equilibrio tra le necessità dell’autore e quelle dell’interprete.

Del resto Рche io sappia Рchi improvvisa non si ̬ mai preoccupato di diteggiare!

Per finire vorrei farvi notare come – nei tre esempi precedenti – la pausa io l’abbia incorporata solo nel primo perché fa parte integrante di una coordinazione centrale, negli altri casi, la diteggiatura idonea vi aiuterà anche a creare un senso di interruzione del suono, brusco nel secondo, soffuso nel terzo, ma è solo nel primo che il silenzio diventerà parte integrante della musica che state eseguendo.

La diteggiatura cantante
Se vi dicessi che il dito 2 produce canto aperto, il dito 3 un canto interiorizzato, il dito 5 (la sua parte interna) un canto assoluto, il dito 1 un canto “inconscio”, il dito 4 un canto legato all’ascolto

che diteggiatura usereste, in questo finale?

Il banco di prova lo trovate – tanto per cambiare – in Chopin! Preludio op. 28 n. 4

Provate a suonarlo utilizzando un dito alla volta, senza cercare altro che ciò che vi offre il movimento del dito stesso: ritroverete le condizioni che vi ho detto. Non dimenticate che Chopin stesso dedicava buona parte delle sue lezioni a cercare il suono prodotto da ciascun dito!

Dopodiché divertitevi a cercare la diteggiatura cantante più appropriata… ho lasciato i numeri che vedete nell’esempio perché vi mettono sulla buona strada.

Un invito a pianisti e didatti ad approfondire…

 

zenchopin

Musicoterapeuta e trainer vocale prima, istruttore di seitai e formatore adesso. Appassionato pianista, Alberto Guccione ha pubblicato Non manuale per il pianista (Casa Musicale ECO, 2011) e di prossima pubblicazione su Amazon, il rivoluzionario Seitai al pianoforte - suonare con i 5 movimenti. Il Seitai spiegato allo studente di pianoforte, ad uso dei Conservatori e Civiche Scuole di Musica.